Frottole rosse (seconda parte)
(Seconda e ultima parte di una storia accaduta veramente.
Come ho già detto, ho solo cambiato un paio di nomi)
Cominciò la discussione sui
contenuti del programma. Una parte di questi consisteva nella premessa generale:
una sorta di manifesto ideologico che serviva ad identificare politicamente la
lista, e nel quale spesso si utilizzavano parole come “Costituzione”,
“antifascismo”, “Resistenza”. Parole che avevano il compito di comunicare al
lettore una serie di concetti difficili e contorti: innanzitutto che quella era
la lista di sinistra, ma allo stesso tempo che i suoi candidati erano difensori
della parte “migliore” dello Stato, cioè delle istituzioni democratiche; mentre
le altre liste, poiché non usavano le stesse parole-simbolo, erano
probabilmente costituite da candidati ambigui, magari da nostalgici del
fascismo, in ogni caso non da veri democratici. Secondo quelle parole, insomma,
chi si appellava ai valori della Resistenza e della Carta costituzionale, “nata
dalla lotta partigiana”, poteva essere considerato democratico. Chi non faceva
uso dei vessilli dell’antifascismo senz’altro non lo era. Un discorso troppo
lungo e soprattutto scopertamente demagogico e manicheo; meglio usare quelle
parole-simbolo, nobili ed eroiche, al posto di questo prolisso e imprudente discorso.
Mentre si discutevano queste
cose, comparve alla riunione un signore, conoscente della signora Maria e noto
anche a mio padre: lo chiameremo signor Verderame. Era un funzionario del
locale Partito comunista, forse in quel momento ricopriva incarichi presso la
segreteria provinciale del partito. Non aveva nulla a che fare con la scuola,
nulla a che fare con il nostro Liceo, nulla a che fare con le elezioni degli
organi collegiali; ma qualcuno lo aveva avvertito della riunione e lui si era –
come dire? – autoconvocato. Alcuni dei presenti mostrarono un imbarazzo
momentaneo per quella intrusione; mio padre sembrò, per un istante, impacciato.
Anch’io, seppure senza capirne la ragione, avvertii un lieve disagio. Ma
Verderame si sedette in disparte, senza intervenire, ascoltando e fumando una
sigaretta dopo l’altra. A parte il fumo che emanava, la sua presenza fu immota
e silenziosa per quasi un’ora, perciò non creò turbamenti ulteriori. Entusiaste
per la sua partecipazione furono invece la signora Maria e la studentessa
occhialuta, entrambe non lesinavano sguardi e sorrisi in direzione del
sopraggiunto. Soprattutto sulla seconda Verderame esercitava un considerevole
fascino, forse perché aveva fama (come seppi in seguito) di essere un “duro
stalinista”, un uomo d’apparato, e per giunta all’inizio di una promettente
carriera politica. Col senno di poi, sono disposto a concedere che potesse
persino apparire un bell’uomo: sulla quarantina, non molto alto ma abbronzato,
con un paio di baffoni scuri spioventi, una chioma nera, lucida e fluente, che
meccanicamente si ravviava con la mano sinistra, uno sguardo mondano e spietato
allo stesso tempo. Forse alla studentessa bruttina Verderame piaceva per questi
attributi fisici, più che per quelli politici.
Trascorsa mezzora dal suo
arrivo, Verderame iniziò a dimenarsi sulla sedia, ad accavallare e scavallare
le gambe e a manifestare assensi e dissensi con versi gutturali simili a
grugniti. Suoni che riusciva ad emettere mantenendo le labbra sigillate sul
filtro incandescente dell’ennesima sigaretta. Il motivo del suo disagio e di
tutta quella attività motoria era l’oggetto della discussione in corso: si
stava affrontando un passaggio importante della “premessa ideologica”, cioè
quello relativo all’opportunità o meno di inserire la parola “antifascismo”.
Sulla Resistenza tutti gli astanti si erano trovati d’accordo, anche perché di
questa venivano ricordati i “valori”, non certo i “fatti storici”, perciò
ognuno avrebbe potuto aggiustarseli come meglio riteneva per farli convivere
con la propria coscienza. Ma la parola antifascismo sembrava più impegnativa e
qualcuno – il genitore repubblicano e mio padre, ad esempio – obiettò che
l’espressione sarebbe potuta suonare indigesta per alcuni.
- È opportuno usarla, oppure
sarebbe meglio usare un’altra parola? - chiese mio padre. Fu in questo momento
che Verderame iniziò a grugnire.
- Opportuno?! Che vuol dire opportuno? - trasecolò la signora Maria.
- Voglio dire – rispose mio padre – che senza nominarla potremmo ottenere anche
i voti degli indecisi; del resto abbiamo già ricordato i valori dell’antifascismo
nominando la Resistenza…-.
- Ma il fascismo non è
ancora morto! Si annida ovunque, persino negli apparati dello Stato… -
interloquì la pannelliana, - …per non dire di tutte le forme di violenza che ci
sono nella società: il maschilismo, il capitalismo, il clericalismo… insomma, è
ancora necessario l’antifascismo! - concluse con enfasi.
- Quello militante! -
esclamò la studentessa, - antifascismo militante, altro che opportunità di
togliere la parola! -. Pronunciò l’ultima frase con gli occhi rivolti verso
Verderame (che emise un grugnito di assenso) e sbraitando, come se fosse arrabbiata.
A questo tono e a queste parole mio padre sgranò gli occhi e non seppe
replicare altro, rivolgendosi alla studentessa, che un apocalittico - Antifascismo
militante?!? Ma che stai dicendo?! -.
Anni Settanta: manifestazione antifascista |
Ci fu qualche istante di
silenzio, poi intervenni con la convinzione di possedere la soluzione per
uscire dall’impasse: - E se usassimo antitotalitarismo?
Non sarebbe più universale e quindi più accettabile da tutti? Diremmo la stessa
cosa, ma anche qualcosa in più. Sappiamo tutti che la violenza e il dispotismo
hanno tanti volti… -. La studentessa mi squadrò con disprezzo, rossa in volto,
pronta ad esplodere e a rovesciarmi addosso qualche anatema ideologico, ma
venne bloccata da Verderame che, interrompendo i grugniti cui ci aveva
abituati, iniziò ad articolare parole, cogliendoci tutti di sorpresa. - Sono
proprio queste supposizioni – affermò con calma, ma guatandomi con severità –
che mi fanno temere una parola come antitotalitarismo
-. Annuì a se stesso, quindi proseguì: - Questa parola è ambigua, mentre
antifascismo è un termine chiaro, inequivocabile. Totalitario, per qualcuno, potrebbe apparire anche chi combatte
persone pericolose per la classe lavoratrice; totalitario potrebbe apparire un sistema più giusto, basato sul
socialismo, che deve essere per forza severo e rigido, se vuole difendere le
sue conquiste. Noi tutti sappiamo che se il socialismo, una volta costruito,
non fosse difeso con rigore, l’umanità pre-ci-pi-te-reb-be all’età della pietra
-. Pronunciò queste ultime parole scandendole e squadrando bene negli occhi
tutti i presenti. - E nessuno di noi vorrebbe rinunciare alle conquiste sociali
solo per timore di un po’ di severità, vero? Sarebbe un grave errore, ingenuo e
dannoso insieme, usare la parola antitotalitarismo
-.
Manifesto di propaganda del P.C.I., anni Settanta |
Ci guardammo tutti senza
fiatare, poi ciascuno abbassò gli occhi, come per meditare su quelle perle di
saggezza che ci erano state da poco ammannite. Solo mio padre ebbe il coraggio
di provocare i presenti chiedendo: - Allora? Cosa facciamo? -. La domanda
sembrava tenere in non cale ciò che Verderame aveva appena detto; perciò la
studentessa bruttina se ne uscì scandalizzata: - Come cosa facciamo? Dobbiamo
usare la parola antifascismo, perché sennò rischiamo di essere scambiati per
dei benpensanti di destra, per dei lerci liberali! -. Verderame la guardò
compiaciuto mentre si accendeva un’altra sigaretta. Io ero in pieno marasma psico-ideologico,
incapace di trovare argomenti per sostenere la mia idea. Gli altri parlottavano
tra loro, mio padre ascoltava la signora Maria senza guardarla e annuendo di
tanto in tanto. Mentre la riunione sembrava deragliare e i sussurri stavano
trasformandosi in brusio generale, la studentessa bruttina si alzò dalla sedia
e mi si avvicinò; si chinò e sibilò al mio orecchio: - Come compagno non vali
una merda! -. Poi tornò a sedersi con aria trionfante. Rimasi annichilito, con
la testa ronzante e la bocca irrigidita in un mezzo sorrisetto di finta
cordialità. Non parlai più per tutta la sera.
Intanto la signora Maria
aveva interrotto il vocio, prendendo la parola: intendeva chiudere la querelle ricorrendo alla sua navigata
abilità politica. - Stiamo preparando questo programma – iniziò – perché
vogliamo una scuola migliore, che sappia parlare chiaramente ai giovani, che
dica loro la verità, che costruisca una cultura nuova e democratica. Non si fa
chiarezza se si usano parole ambigue: antitotalitarismo è una parola ambigua,
antifascismo no -. Tutti annuirono con ampi cenni del capo ed espressioni di
approvazione. Anche mio padre finì per accettare: senza annuire né mormorare
scrisse sui suoi appunti la fatale parola, “antifascismo”, adeguandosi al
volere dei più. Presa la decisione si poté passare all’argomento successivo
che, per ironia della sorte, era il seguente: “Idee per una scuola democratica
e pluralista”.
Soddisfatto dell’indirizzo
che la riunione aveva preso, Verderame si alzò, spense la sigaretta nel
posacenere, guardò l’orologio, quindi salutò spiegando che aveva un altro
impegno: prima di cena doveva fare una capatina in un’altra riunione simile
alla nostra, alla quale era stato invitato da un amico. Uscì lanciando una
strana occhiata a tutti i presenti: mi ci sarebbero voluti anni per comprendere
appieno il significato diabolico di quello sguardo. Quella sera non ero in
grado di capire: non mi rendevo ancora conto cos’era accaduto, figurarsi se
potevo interpretare la psicologia di quegli occhi. La studentessa bruttina non
mi rivolse la parola per settimane. Non capivo il perché, ma non me ne feci un
cruccio. Piuttosto, continuavo a chiedermi cosa ci fosse di sbagliato nel mio
ragionamento sul totalitarismo. Non trovai una risposta, allora. Non potevo
ammettere che ciò che avevo sentito quella sera erano per lo più frottole,
magari ben presentate e convincenti, ma pur sempre frottole. Mi ci sarebbero
voluti anni prima di riuscire ad accettare che avevo ascoltato frottole rosse.
(2 – fine)
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