domenica 18 novembre 2012

Corruzione politica e corruzione civile.


I cittadini italiani sono migliori dei politici corrotti?

Francesco Belsito
Franco Fiorito ("Er Batman")




Vincenzo Maruccio
Luigi Lusi

Francesco Belsito, Luigi Lusi, Franco Fiorito: il primo tesoriere della Lega nord, il secondo della Margherita, il terzo del Pdl. Dovremmo aggiungere a questa lista anche i nomi di Filippo Penati, ex Presidente di centro-sinistra della Provincia di Milano, e, da qualche giorno, quello di Vincenzo Maruccio, ex capogruppo dell’Idv alla regione Lazio, nonché anche lui tesoriere del suo partito. Molti altri, purtroppo, dovremmo aggiungerne, ma restiamo su questi esempi. Se si escludono Lusi e Penati, un po’ più anziani degli altri che ho nominato, si tratta di politici giovani, appartenenti a partiti sorti dopo gli anni ’90, provenienti da brevi esperienze politiche e in qualche caso da attività professionali. Hanno inoltre un’altra caratteristica in comune: sono stati democraticamente eletti dal popolo. Fiorito, nelle elezioni amministrative del 2010, è risultato addirittura il consigliere regionale più votato nel Lazio. Tutti, com’è noto, sono indagati per appropriazione indebita di denaro pubblico che avrebbero utilizzato per scopi personali: automobili, ville, feste, viaggi costosi, abiti firmati, pranzi e cene in ristoranti rinomati, oggetti di lusso e persino gioco d’azzardo e donnine allegre.

Filippo Penati
Il pool di Mani pulite
La vecchia classe dirigente italiana, quella della Prima Repubblica, è stata spazzata via quasi per intero dal ciclone di Tangentopoli del 1992. Quella tempesta ha decretato la fine della Dc, del Psi, del Psdi, del Pri; mentre il Pci, per altre ragioni, era già stato sepolto dalle macerie del Muro di Berlino. I vecchi nomi della politica italiana, presenti sulla scena pubblica da oltre 30 anni, alcuni anche di più, scomparvero, inghiottiti dai processi di “Mani pulite”, dalla corruzione, dagli scandali. Da quel terremoto è emerso il nuovo sistema politico italiano, ovvero una nuova classe politica, nuovi partiti, nuovi volti spesso più giovani. Certo, qualche “dinosauro” della vecchia stagione è sopravvissuto al ciclone, ma per lo più il panorama si è modificato profondamente, tanto da indurre stampa e televisione a parlare di Seconda Repubblica. L’espressione non è mai stata del tutto appropriata poiché, come si sa, la nostra Carta costituzionale è rimasta pressoché la stessa, salvo alcune parziali modificazioni. Ma quel che è accaduto dopo il 1992 è stato ugualmente sufficiente per giustificare la definizione: i vecchi politici non c’erano più, i meccanismi di selezione del personale politico erano cambiati, le norme elettorali modificate dalla legge Mattarella del 1993 (il cosiddetto “Mattarellum”, come lo chiamò Giovanni Sartori).
Berlusconi nel 1994, anno della "discesa in campo"
con la fondazione di Forza Italia

Ma soprattutto era cambiata una cosa. I nuovi partiti e i nuovi leader si presentarono come rappresentanti della società civile, non della casta dei politici. Dicevano di essere i testimonial di coloro che lavorano e producono, dell’Italia sana, quella che si arrabatta ogni giorno con il lavoro, con l’esiguità del denaro, con le tasse. La politica della Seconda Repubblica si mostrava insomma come più vicina alla gente comune, ai cittadini medi, al popolo. Simboli di questa novità furono soprattutto Forza Italia e la Lega nord, ma anche i movimenti e le formazioni politiche sorte in seguito, dall’Idv al Movimento 5 stelle. Berlusconi, soprattutto, si presentò come “uno di noi”, un uomo della società civile, non del Palazzo, uno che si era costruito da solo, che aveva lavorato faticosamente per accumulare la propria fortuna e per arrivare al successo: un “presidente operaio”, come diceva uno degli slogan della Casa delle libertà nelle elezioni del 2001.
Manifesto elettorale del 2001
Così, dalla metà degli anni Novanta in poi la politica italiana è stata caratterizzata da un nuovo spirito pubblico che ne ha legittimato i leader: improvvisamente non è più contato, per ottenere consenso, aver frequentato le scuole di partito o le associazioni ecclesiastiche; non ha avuto più importanza l’esibizione di un pedigree antifascista; non è servito aver seguito il cursus honorum attraverso i vari livelli della politica, dall’amministrazione comunale a quella regionale. Da quel momento in poi ha avuto importanza poter vantare successi di altro tipo, poter esibire altri generi di patenti: provenire dalle libere professioni e dal “popolo delle partite Iva”, avere svolto lavori comuni, sia pure ben remunerati (il medico, il notaio, il dentista, l’ingegnere, l’avvocato, il magistrato, il giornalista, il dirigente d’azienda), oppure avere esperienza di comunicazione e magari avere avuto successo attraverso la televisione. Non a caso sono entrati massicciamente in politica addetti alle pubbliche relazioni e pubblicitari, ma anche attori, cantanti, comici, disc jockey e animatori di villaggi turistici. La società civile, appunto, sembrava volersi prendere la sua rivincita nei confronti di quella politica paludata, di quei professionisti del maneggio elettorale che occupavano la scena pubblica almeno dagli anni Sessanta e Settanta. Una nuova retorica e una nuova mitologia si impose nel discorso politico: “essere un uomo di successo”, saper comunicare, avere un’ attività, contare qualcosa nel mondo della produzione, o della finanza, o del giornalismo, o della pubblicità, o delle professioni. Queste le nuove credenziali che venivano richieste ai nuovi politici.

Ebbene, a distanza di venti anni possiamo cominciare a tirare le somme di questa trasformazione. Cosa ha prodotto? Ha migliorato la politica italiana o no? L’ingresso della società civile negli austeri palazzi della politica ha saputo innovare e rendere più libera, più democratica la politica? E soprattutto: l’ha resa più pulita? Gli eventi accaduti di recente devono farci rispondere “no” a tutte queste domande. La politica è più inaccessibile di ieri, la casta dei politici ancor più privilegiata di ieri, la corruzione ancor più diffusa e radicata di ieri. Ma c’è un’aggravante rispetto a ieri: nella Seconda Repubblica i politici assomigliano di più agli italiani che li hanno eletti, sono parte di quella società civile che li ha delegati a governare, provengono da ambienti molto vicini a quelli frequentati dagli elettori. Dall’azienda di famiglia alla libera professione, dallo stadio alla discoteca, dai concorsi di bellezza alle tv locali, dal quartiere di periferia a quello dello shopping di lusso: questi gli ambienti da cui proviene la nuova classe politica della Seconda Repubblica; provenienza che ne fa un distillato, un campione rappresentativo delle trasformazioni avvenute nella società italiana dagli anni Novanta in poi.
Joseph De Maistre (1753-1821)

“Ogni nazione ha il governo che si merita”, scrisse con saggia amarezza il filosofo conservatore Joseph De Maistre all’inizio del XIX secolo. Questa affermazione è tanto più vera in un sistema democratico, dove il cittadino può scegliere i partiti e gli uomini che lo governeranno. Si dirà che in Italia il voto di preferenza è stato sottratto agli italiani dalla legge Calderoli del 2005 (il noto “Porcellum” che sostituì il “Mattarellum”): forse questo è vero per Lusi e, in parte, per Belsito; ma che dire di Fiorito che nel 2001 è stato eletto direttamente dalla popolazione come sindaco di Anagni? Che dire del fatto che, malgrado la condanna del 2005 da parte della Corte dei Conti, per avere usato soldi pubblici in attività auto promozionale, sia stato eletto consigliere regionale del Lazio nel 2005 e poi rieletto nel 2010, quest’ultima volta addirittura con grande successo di voti, come dicevo all’inizio? E infine: che dire di quei consigli regionali, come quello del Lazio disciolto di recente, in cui i rimborsi spese elargiti ai partiti di ogni colore superano di gran lunga le spese del Parlamento e del Quirinale? I consiglieri regionali non sono imposti dalle liste bloccate dei partiti, ma vengono eletti dai cittadini con voto di preferenza.

La casta è corrotta, almeno in buona parte. Non fornisce buoni esempi, è vero. Ma dalla società civile italiana arrivano forse lezioni di etica pubblica? Sarebbe da illusi sostenerlo: la società civile italiana è troppo di frequente al di sotto della sufficienza in fatto di moralità civile. Come si spiegherebbe, diversamente, la fabbrica dei falsi invalidi che pesa sui conti pubblici, secondo l’Inps, per circa 1,5 miliardi di euro l’anno (si veda ad esempio Repubblica, 1 febbraio 2012)? E come potremmo spiegare altrimenti la diffusione capillare dell’evasione fiscale che rappresenta ormai il 18% del Pil (si veda ad esempio Il Sole24ore, 15 giugno 2012)? Come spiegare l’illegalità diffusa che, come ho scritto nel post del 29 giugno scorso, si apprende già sui banchi di scuola, laddove vi sia indulgenza nei confronti dello studente che copia? Come spiegare, insomma, l’irritazione che spesso gli italiani mostrano nei confronti di tutto ciò che è regola, controllo e sanzione?
Evasione fiscale e sommerso in Italia (dal Corriere della sera)
Le recenti vicende di corruzione dicono molto della realtà politica nostrana. Ma purtroppo dicono molto anche dello stato in cui versa la moralità pubblica degli italiani. Forse ha ragione chi dice che occorre ricostruire tutto in Italia. Solo che la ricostruzione dovrebbe partire dal basso, dai cittadini che la popolano. Una valutazione, questa, che non troverà facilmente accoglienza presso i politici e il pubblico italiani, perché poco indulgente e priva di intenti populisti; in breve è una valutazione troppo realista. E il realismo politico, in Italia, non ha mai avuto grande fortuna.

Nessun commento:

Posta un commento