SIMBOLISMO POLITICO E "GRILLISMO"
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George Berkeley ritratto dal pittore John Smybert |
Esse est percipi: “essere vuol dire essere percepito”.
La celebre formula di George Berkeley (1685-1753) afferma che, se ci atteniamo
all’esperienza immediata, dobbiamo concludere che noi esseri umani conosciamo solo
le nostre percezioni, non gli oggetti che potrebbero causarle.
Anzi, diceva Berkeley, oggetti non ne conosciamo mai; eppure è universale la credenza che esista un mondo reale, esterno alle nostre percezioni. Credenza assurda, secondo il filosofo irlandese, perché le percezioni sono nel soggetto che le percepisce, non fuori di lui, in un ipotetico substratum materiale. Insomma, il buon vescovo di Cloyne, professore ad Oxford, la pensava come Prospero di Shakespeare, secondo il quale “noi siamo della natura di cui sono fatti i sogni, e le nostre piccole vite sono cinte da un grande sonno”. La realtà materiale non esiste, è un inganno dei sensi, un’universale, menzognera credenza.
Anzi, diceva Berkeley, oggetti non ne conosciamo mai; eppure è universale la credenza che esista un mondo reale, esterno alle nostre percezioni. Credenza assurda, secondo il filosofo irlandese, perché le percezioni sono nel soggetto che le percepisce, non fuori di lui, in un ipotetico substratum materiale. Insomma, il buon vescovo di Cloyne, professore ad Oxford, la pensava come Prospero di Shakespeare, secondo il quale “noi siamo della natura di cui sono fatti i sogni, e le nostre piccole vite sono cinte da un grande sonno”. La realtà materiale non esiste, è un inganno dei sensi, un’universale, menzognera credenza.
Perché questo inizio dedicato ad un filosofo di 3 secoli fa? Perché
la politica in una società di massa può essere illustrata bene dalla formula di
Berkeley: i messaggi politici possono essere complessi e razionali finché si
vuole, possono essere ispirati a complicate argomentazioni scientifiche o avere
come obiettivo la realizzazione di “corposi” programmi, ma ciò che spinge milioni di elettori a scegliere raramente sono questi motivi; sono, piuttosto, i simboli.
Ciò che l’uomo comune percepisce, che sia o meno parte di un corposo programma,
è ciò che lo induce a scegliere. Il “percepito”, non il “reale” è la causa
della sua scelta. I simboli, perciò, in politica sono importanti, perché si
diffondono più rapidamente di un programma di 300 pagine, perché sollecitano le
emozioni e vincolano le volontà, perché sono capaci di suscitare rabbia o
gioia, odio o amore.
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Georges Sorel |

Manifesto di propaganda per il primo sciopero generale della storia d'Italia, avvenuto nel settembre 1904 |

Del resto anche per gli altri partiti la questione è
identica. Qualcuno è così sprovveduto da ritenere che “i programmi corposi”
siano un’invenzione del Movimento 5 stelle e che appartengano solo a questo? Si
veda il programma del Pd per le elezioni del 2008 (http://www.partitodemocratico.it/allegati/impProgrammaPD_26-0245315.pdf). Corposo e denso. Forse persino
consonante, in alcuni punti, con quello di Grillo. E che dire di quello del Pdl
presentato alle stesse elezioni (http://www.elezioni-italia.it/elezioni-2008/programma-pdl-2008.asp)? Forse meno lungo, ma ugualmente
impegnativo e denso. Eppure, c’è da giurarci, non tutti gli elettori di questi partiti allora conoscevano a fondo i programmi che stavano votando. Destino
della politica: vorrebbe produrre una realtà concreta (il programma), ma
ottiene il consenso per la forza dei suoi simboli, non dei propri argomenti.
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Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), eletto presidente degli Usa nel 1932, 1936, 1940 e 1944. |
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Alcide De Gasperi (1881-1954) presidente del Consiglio dei ministri dal 1945 al 1953 |
Certamente le idee e gli argomenti contano: se non ci fossero
per niente, se ci fossero solo simboli e miti, se ci fosse solo emozione, prima
o poi l’elettore se ne accorgerebbe e revocherebbe il suo consenso. Roosevelt
utilizzò la propaganda anche in modo spregiudicato, ma ebbe idee e progetti
concreti da realizzare, tanto da essere eletto ben quattro volte alla carica di
Presidente degli Stati Uniti; De Gasperi utilizzò toni da guerra fredda nella
campagna elettorale del 1948 (come i suoi avversari, del resto), ma ebbe
chiarezza di idee circa quel che serviva alla nazione in quel momento storico. Le
recenti vicende di Berlusconi e di Bossi, invece, sembrano dimostrare il
contrario: molte clamorose proposte provocatorie, molti annunci, spesso molte
sparate, ma pochissimi risultati. Suscitare tante emozioni e tante aspettative
per poi non realizzare nulla o quasi non è un buon modo per ottenere di nuovo il favore degli elettori.
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Gianroberto Casaleggio, presidente e fondatore della Casaleggio Associati |
Cosa accadrà con il movimento di Grillo
nessuno, ovviamente, può dirlo ora. Mi sembra però che, fin da ora, si possa affermare
che per un movimento come il suo, del quale ancora non si sa nulla riguardo a come
governerà, se governerà; per un movimento del tutto nuovo come il suo che si
presenta agli elettori per la prima volta, i miti e i gesti, i simboli e le
mascotte contano molto più dei programmi. Lo sa lo stesso Grillo che, com’è
noto, si serve di un esperto di marketing e di comunicazione pubblicitaria come
Gianroberto Casaleggio (vedere, ad esempio, http://www.corriere.it/politica/12_maggio_25/parma-pizzarotti-grillo-alberti_a7006b6c-a629-11e1-adca-f1e67e46c97e.shtml).
Miti, simboli, linguaggi. Sono queste le realtà percepite
dall’elettore. Esse est percipi. Quanto
più il linguaggio è ingombrante, tanto meno, purtroppo, contano i programmi:
più le sparate sono grandi e grossolane, più i programmi restano in ombra,
anche se corposi e impegnativi. Può darsi che Grillo sia quel che ci vuole per
l’Italia di oggi; può darsi che sia proprio lui l’uomo che ci salverà dal
baratro; ma ciò che comunica il suo linguaggio a me sembra meno rassicurante. Ma forse
è proprio questo che oggi il 20% degli italiani vuole: non messaggi rassicuranti, ma la promessa di un profondo
e devastante terremoto politico e sociale.
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