Vecchie parole, odierne questioni.
Attualità di Mill
Attualità di Mill
“La tendenza generale
del mondo è quella di fare della mediocrità la potenza dominante. […] Oggi gli
individui si perdono nella folla. In politica è quasi una banalità dire che la
pubblica opinione governa oggi il mondo. L’unico potere degno del nome è quello
delle masse e di quei governi che si fanno organi delle tendenze e degli
istinti delle masse. Ciò vale sia nelle relazioni morali e sociali della vita
privata che nelle transazioni pubbliche. Quella che viene chiamata l’opinione
pubblica non sempre è l’opinione del medesimo tipo di pubblico; […] ma si
tratta pur sempre di una massa, ovvero della mediocrità collettiva. La cosa
ancor più nuova, tuttavia, è che le masse oggi non ricevono più le loro
opinioni dalle gerarchie ecclesiastiche e statali, da capi visibili o dai
libri; le loro opinioni sono trasmesse da uomini molto simili a loro, i quali
si rivolgono alle masse attraverso i giornali, e parlano in nome loro sull’onda
del momento. Non mi lamento di tutto questo. Non affermo che il basso livello intellettuale
dell’umanità richiederebbe, in generale, qualcosa di meglio; ma ciò non toglie
che il governo della mediocrità sia un governo mediocre. […] Ora che le
opinioni delle masse di semplici uomini medi sono diventate o stanno diventando
il potere predominante, il contravveleno e il correttivo a questa tendenza sarebbe l’individualità
sempre più pronunciata di chi riesce a raggiungere le più alte vette del
pensiero. È soprattutto in queste circostanze che gli individui dovrebbero
esser incoraggiati ad agire diversamente dalle masse, anziché esserne dissuasi.
[…] Nella nostra epoca, il semplice esempio di anticonformismo, il mero rifiuto
di piegarsi alla consuetudine è di per se stesso un servigio all’umanità.”
Chi scrive queste parole? Si
potrebbe pensare a qualcuno che stia commentando l’incedere trionfale della
banalità che circola in rete e che stia stigmatizzando il conformismo che la
domina. Un uomo dei nostri tempi, quindi? Un giornalista, un intellettuale, un
artista vivente? Niente affatto: è un uomo vissuto oltre 150 anni fa. Si tratta
del filosofo inglese John Stuart Mill (1806-1873). Il brano che avete letto è
tratto dall’opera On Liberty,
pubblicata nel 1859 (Sulla libertà, tr.
it. Roma, La Biblioteca di Libero, 2005, pp. 95-96). Secondo Mill, correre
dietro al volere della pubblica opinione, cercare di assecondarla il più
possibile, emarginare e persino ostracizzare le minoranze con il biasimo di
massa diffuso dai mezzi di comunicazione, è un danno culturale e sociale di
proporzioni colossali: l’umanità ne pagherà prima o poi a caro prezzo le
conseguenze. Privare la civiltà della forza creativa dell’originalità e dell’individualità,
in qualsiasi modo esse si esprimano, la indebolisce e la priva di vitalità:
essa, prima o poi, “non resisterebbe al minimo scontro con qualsiasi cosa
veramente viva e non vi sarebbe motivo che la civiltà non perisca, come è
avvenuto nel caso dell’impero di Bisanzio” (op.
cit., p. 93).
Seguiamo ancora l’argomentazione
del filosofo:
“L’assimilazione va
sempre crescendo: favorita da tutti i mutamenti politici di questo periodo, che
tendono invariabilmente a innalzare chi sta in basso e viceversa. La favorisce
ogni estensione dell’istruzione, poiché questa pone gli uomini sotto le stesse
influenze e rende accessibili i medesimi fatti e i medesimi sentimenti. La
promuove ogni progresso nei mezzi di comunicazione, mettendo a contatto
personale gli abitanti di luoghi lontani, e incoraggiando rapidi e frequenti
spostamenti di residenza da un posto all’altro. La favorisce l’espansione del
commercio e dell’industria manifatturiera, diffondendo sempre più ampiamente
gli agi della vita, e offrendo alla competizione generale anche i più elevati
oggetti di ambizione; per cui il desiderio di elevarsi non appartiene più ad
una classe privilegiata, ma a tutte le classi. Ma un fattore ancor più
influente di tutti questi, nel produrre la generale somiglianza degli uomini, è
il predominio, ormai consolidato, in Inghilterra come negli altri paesi liberi,
della pubblica opinione sullo Stato. […] Non vi è più alcun potere indipendente
nella società che, nel contrapporsi al predominio del numero, mostri interesse
a prendere sotto la sua protezione opinioni e tendenze divergenti da quelle del
grande pubblico. La combinazione di tutte queste cause dà corpo a una massa
così grande di influenze ostili all’individualità, che non è facile immaginare
come essa possa resistere. Incontrerà difficoltà sempre maggiori se non si
riesce a farne comprendere il valore alla parte più intelligente del pubblico e
a convincerla che la diversità è necessaria, anche se non sempre è migliore e
talvolta può sembrare peggiore di ciò che è comunemente accettato. […] È solo
resistendo fin dall’inizio che si possono sconfiggere gli abusi. La pretesa che
tutti gli altri ci rassomiglino cresce quanto più la si nutre. Se si aspetta ad
opporle resistenza fino a quando la vita non sarà quasi interamente ridotta ad
un tipo uniforme, tutto ciò che si discosta da esso finirà con l’essere
considerato empio, immorale, se non addirittura mostruoso e contro natura. Gli
uomini diventano rapidamente incapaci di comprendere la diversità quando per
qualche tempo si sono disassuefatti a vederla” (op. cit., pp. 103-104).
Il mondo attuale, proseguiva
Mill, non si oppone al progresso “al contrario; ci lusinghiamo di essere le
persone più progressive che siano mai esistite” (op. cit., p. 101). Non è il progresso il nemico della società di
massa: è l’individualità, è ad essa che il mondo massificato “muove guerra” (ibidem). “Se riuscissimo a renderci
tutti uguali penseremmo di aver fatto meraviglie, dimenticando che la
differenza tra due persone è di solito il primo elemento che richiama l’attenzione
di entrambe alla propria imperfezione e all’altrui superiorità, o alla
possibilità di produrre qualcosa di migliore di entrambe combinando i meriti
rispettivi” (ibidem). Progresso e
libertà individuale, quindi, non è detto che camminino nella stessa direzione.
Che senso ha proporre oggi
la riflessione su queste parole? Credo che ne abbia molto. I sistemi di
comunicazione di massa che utilizziamo apparentemente ci rendono liberi:
possiamo tenerci in contatto visivo con amici che abitano dall’altra parte del
globo; possiamo operare da casa, grazie ad internet, per alcuni compiti che
riguardano il nostro lavoro; possiamo accedere ad ogni tipo di informazione, o
quasi, che sia raggiungibile dalla nostra postazione; possiamo interagire con
altri, singoli o gruppi, per condividere esperienze, notizie, dati, contenuti e
persino decisioni; possiamo, infine, influenzare chi ci governa attraverso i
sistemi di comunicazione telematici. L'avanzata del Web 2.0 è stata impetuosa. È innegabile che ciò sia un
progresso e che aumenti gli spazi di partecipazione e di opportunità per molte
più persone rispetto a prima; è innegabile, infine, che questi sistemi possano
amplificare la libertà del singolo e metterlo nelle condizioni di imprimere il
suo segno sulle vicende sociali, culturali e politiche.
Allo stesso tempo, però,
questi stessi sistemi espongono l’individuo ad una potente e inarrestabile
pressione: quella dell’opinione comune che tende ad assimilare, ad appiattire le
differenze, a costruire miti da condividere, ad eliminare le differenze. In altre
parole, lo espone ad una potente forza conformistica che ne schiaccia l’individualità.
Non è facile resistere all’azione di questa forza, occorrono coraggio, intraprendenza,
spirito critico, cultura, capacità di argomentare. Più aumenta la spinta
conformistica, più essa si avvale di nuovi e più potenti mezzi, più diviene
pervasiva e capace di condizionare persino le più minute scelte della vita
quotidiana (come avviene per le mode comportamentali in voga in rete, che
influenzano massicciamente i più giovani), e più diventa difficile resisterle,
più è richiesto un salto di competenze e di conoscenze per farlo, un salto
anche caratteriale, costituito da maggiore determinazione e da maggiore
coraggio, al fine di mantenere una volontà libera e indipendente.
Eugenij Zamjatin (1884-1937) |
“Formare un popolo tutto
uguale”, come scriveva Mill, un popolo “i cui pensieri e le cui azioni sono
guidati dalle stesse massime e norme” è l’obiettivo inseguito da oltre 150 anni
dalla moderna opinione pubblica. Il suo dominio era già considerato un “giogo”
pericoloso alla metà del XIX secolo, come attestano le parole di Mill. Oggi
questo giogo sembra essersi ormai impossessato della mente della maggioranza
degli abitanti del mondo. Di quanto spazio, ancora, può godere l’anticonformismo
culturale? Quanto tempo ancora potrà sopravvivere l’opinione individuale,
libera, indipendente, contro corrente? Siamo già entrati nel Brave New World della distopia di Huxley
(1932)? O, peggio, la distopia che stiamo edificando assomiglia a quella dipinta
nel romanzo di Eugenij Zamjatin, Noi
(1921, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1963), in cui si narra la vita di una società
nella quale il libero arbitrio è considerato la causa della infelicità umana, e
quindi è bandito e contrastato, curato e debellato come fosse una malattia
infettiva? Stiamo già preparandoci un futuro di conformismo totalitario?
Uno dei suoi post più belli, professore, anche io l'ho sempre pensata così e mi sono battuto contro il conformismo... ma è sempre dura, perché uno che vuole autodeterminarsi sarà sempre ed indiscutibilmente solo, con la maggior parte della gente che al meglio dice che "pure l'anticonformismo è conformismo" (e al peggio ti attacca, come mi è successo proprio in questi giorni). Ma comunque non importa, alla fine, per me è più importante essere me stesso che piacere agli altri, e quindi credo continuerò così :) .
RispondiElimina(Comunque, condivido il post :))
ottimo articolo stesso discorso di luca anche per me..non mi interessa di piacere agli altri..io sono me stesso con il mio carattere personale e la mia individualità mentale e intellettuale..la dignità e il rispetto sono valori molto più importanti e alti che vanno insegnati fin da piccoli.
RispondiEliminaSono d'accordo, occorre essere se stessi. A Mattia ho risposto in privato, a suo tempo, per ribadire lo stesso concetto. Non si può vivere cercando di piacere a tutti, anche se c'è chi lo fa. Sarebbe come rinunciare a se stessi e alla propria libertà. Poi, che il rispetto vada insegnato fin da piccoli è auspicabile: ma viviamo in un'epoca di narcisismo di massa, in cui ai piccoli viene insegnato di rispettare innanzitutto, se non esclusivamente, il proprio ombelico. Perciò d'accordo con lei sull'auspicio, sebbene la realtà non ci consenta di andare oltre. Grazie per la sua visita e per il commento, torni ancora! A presto!
RispondiEliminaBellissimo articolo! Mi aiuterà con l'approfondimento di Mill per filosofia ;P
RispondiEliminaGrazie mille! Non aggiorno il blog da molto tempo a causa di vicende personali che mi hanno costretto a tagliare questo impegno, almeno temporaneamente... Il suo commento mi incoraggia a riprendere questa "avventura", faticosa ma appagante. Auguri per il suo lavoro, se pensa che possa esserle utile mi scriva pure. Buona giornata!
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