LA POLITICA E GLI ITALIANI: DIFESA
CORPORATIVA, AUTORITARISMO, RIBELLISMO
"Vivere per il presente è l'ossessione dominante" (Christopher Lasch, La cultura del narcisismo, Milano, Bompiani, 1981, p. 17).
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Francesco Guicciardini (1483-1540) |
Non è facile parlare
di politica in Italia. Le ragioni della difficoltà credo che siano le seguenti:
da un lato la politica per molti italiani ha a che vedere con la difesa dei propri
interessi corporativi, del “particulare”, per usare la nota espressione del
Guicciardini; dall’altro
significa affermazione radicale e violenta di un’ideologia o di una prassi, o semplicemente di un odio, contro l’altra parte della nazione, quella ritenuta corrotta, moralmente inferiore e quindi meritevole di essere estirpata dalla società. I due atteggiamenti spesso convivono, non soltanto nella stessa epoca, ma persino nella medesima persona. Non c’è mai stato spazio, in Italia, per una discussione pacata attorno ai problemi nazionali, rispettandosi l’un l’altro, accettando come legittime e comuni le regole istituzionali, pur mantenendo diversità di vedute su come risolvere i problemi di cui si discute. Insomma, non c’è mai stato spazio in Italia per realizzare una politica autenticamente liberal-democratica.
significa affermazione radicale e violenta di un’ideologia o di una prassi, o semplicemente di un odio, contro l’altra parte della nazione, quella ritenuta corrotta, moralmente inferiore e quindi meritevole di essere estirpata dalla società. I due atteggiamenti spesso convivono, non soltanto nella stessa epoca, ma persino nella medesima persona. Non c’è mai stato spazio, in Italia, per una discussione pacata attorno ai problemi nazionali, rispettandosi l’un l’altro, accettando come legittime e comuni le regole istituzionali, pur mantenendo diversità di vedute su come risolvere i problemi di cui si discute. Insomma, non c’è mai stato spazio in Italia per realizzare una politica autenticamente liberal-democratica.
Zygmunt Bauman |
Su questa peculiarità
tutta italiana, si è aggiunto negli ultimi decenni il grande mutamento
antropologico della modernità (secondo alcuni, ad esempio Zygmunt Bauman, della
post-modernità) che ha trasformato l’individuo semplice nell’unica fonte della morale,
transitoria ed assoluta allo stesso tempo. L’ombelico di ogni soggetto è così
diventato il centro dell’universo, fenomeno che ha prodotto una gigantesca
deflagrazione dei sistemi morali tradizionali, fondati sul rispetto della
tradizione, della religione, dell’autorità. Per l’individuo che vive nelle
società occidentali (chiamo così, per comodità, il sistema di vita basato sugli
alti consumi di massa, sistema che si va espandendo anche oltre i confini geografici
dell’occidente), per questo individuo, dicevo, il proprio “gusto”, la propria “inclinazione
edonistica”, la propria esclusiva e momentanea stravaganza hanno il diritto di
diventare il fondamento della vita morale. Un fondamento, diciamo così, mobile,
perché a sua volta soggetto al variare dei capricci e dei bisogni contingenti;
ma, come dicevo, al tempo stesso assoluto, ovvero sciolto per principio da
qualsiasi interferenza esterna all’individuo: nessuno ha il diritto, si afferma
oggi con decisione, di criticare i gusti, le inclinazioni personali, le scelte
degli altri. Neppure se sono causa di conflitto o di disgregazione della
società. Anni fa il sociologo statunitense Christopher Lasch (1932-1994)
definì questa deriva etica “cultura del narcisismo” (C. Lasch, La cultura del narcisismo, 1979, tr.it.
Milano, Bompiani, 1981)
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Christopher Lasch |

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1973, campagna
pubblicitaria dei jeans Jesus: Pasolini si chiese se questo genere di messaggi
non fosse il segno di una mutazione antropologica avvenuta tra gli italiani, il
segno del passaggio dai valori tradizionali all’edonismo di massa. Vedi http://www.damianopalano.com/2012/03/il-trionfo-delledonismo-di-massa-per.html
Galli della Loggia (foto a fianco) definisce questo carattere della storia nazionale come “scompaginante e
destabilizzante, non componibile in alcun nuovo ordine ma alla fine solo
corrosivo di ogni possibile ordine” (ibidem).
Egli ritiene che esso sia stato presente fin dagli inizi della nostra storia
unitaria: “Tutta la prima fase dello Stato unitario è stata caratterizzata sì
da una certa chiusura autoritaria delle classi dirigenti a cui corrispondeva
però la presenza di un fattore determinante: cioè il ribellismo a sfondo
anarcoide delle masse italiane” (op.
cit., p. 20). Masse che erano per lo più contadine o bracciantili, la cui
mobilitazione politica ha avuto caratteri improntati “in genere a una forte
carica di violenza, facile a innescarsi e altrettanto rapidamente a esaurirsi”
(op. cit., p. 21). La formazione
delle organizzazioni di massa, sia quelle politiche sia quelle sindacali, ha
ereditato questo ribellismo e lo ha utilizzato contro le istituzioni nazionali,
ritenute a loro volta insufficienti poiché colpevoli di aver tradito lo “spirito
più autentico del Risorgimento”, quello popolare. Quest’ultimo tema, la
presunta incapacità del Risorgimento ad inserire le masse italiane nella
politica e nelle istituzione nazionali, nel tempo è diventato un autentico mito
comune a molte culture politiche italiane: nazionalisti, fascisti, socialisti,
cattolici, comunisti, azionisti sono stati animati, secondo Galli della Loggia,
da un medesimo “afflato populistico-rivoluzionario, originato dalla volontà comune
a tutte le nostre culture politiche […] di sanare le insufficienze del
Risorgimento, portando finalmente ‘le masse nello Stato’” (op. cit., pp. 31-32). Un afflato, conclude l’autore, che “ha
rappresentato il vero surrogato di quel pensiero democratico moderno che in
Italia non c’è mai stato in misura significativa” (op. cit., p. 32).
Secondo il filosofo
della politica Dolf Sternberger (1907-1989, foto a fianco), nella storia dell’occidente vi
sarebbero tre concezioni della politica: la politica autoritaria che ha come
scopo la soppressione dei conflitti; la politica escatologica che ha come fine
la redenzione dai conflitti; la politica liberale che ha come scopo la
regolamentazione dai conflitti (D. Sternberger, Le tre radici della politica, tr. it. Bologna, Il Mulino, 2001). Se
si accetta questa tripartizione, si deve concludere che nella storia dell’Italia
unita vi è stato sempre poco spazio per la terza “radice”. Il discorso politico
in Italia si è limitato spesso allo scontro tra le altre due posizioni: l’autoritarismo
e il ribellismo. Stretto tra i due versanti della permanente guerra civile
politica, il cittadino italiano ha così sviluppato un’istintiva tendenza a
cercare la sopravvivenza, a preferire soluzioni di corto respiro capaci di
risolvere i problemi immediati, in grado di soddisfare i bisogni momentanei. Perciò
ha spesso dato il proprio consenso a quelle forze politiche che
corrispondessero a queste esigenze, capaci cioè di elargire favori, pensioni,
sussidi, lavoro, denaro. Ma nei momenti bui della nostra storia, quando quelle forze
politiche non sono più riuscite a soddisfare l’esigenza primaria della
sopravvivenza hic et nunc, gli
italiani, spaventati dal fantasma della miseria (il cui ricordo non è poi così lontano
nella storia del nostro paese), hanno finito per diventare facile preda dei
leader autoritari o di quelli populisti, talvolta identificabili nella stessa
persona.
Quello che stiamo
vivendo è un altro momento buio della nostra vicenda nazionale. Dopo aver creato
un debito pubblico alto e inespugnabile come una montagna dell’Himalaya; dopo
aver sprecato il tempo nella difesa anacronistica dei nostri privilegi, anziché
metter mano alle inevitabili riforme delle istituzioni, del mercato del lavoro,
della pubblica amministrazione, degli ordini professionali, della
liberalizzazione del commercio, come altri paesi hanno provveduto a fare da anni;
dopo aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità per molti decenni, ci troviamo
di nuovo di fronte al bivio autoritarismo-ribellismo? Cosa sceglieremo questa
volta? Anzi: cosa stiamo già scegliendo?
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Hai ragione, Carlo, ci troviamo davvero di fronte a questo bivio che tu indichi, tra autoritarismo e ribellismo. E putroppo la classe dirigente e politica non mi sembra affatto all'altezza di guidarci verso la terza via... Non c'è da stare allegri...
RispondiEliminaGiovanna
Ciao Giò! Sì, è come dici tu. Temo che nella storia della repubblica le classi politiche abbiano saputo fare solo una cosa molto bene: distribuire soldi. Da quando è diventato difficile farlo, contro di esse si è sollevata la ribellione della cosiddetta società civile. Sulla questione, comunque, interverrò di nuovo. Ciao!
EliminaCarlo
Ma la ribellione è sempre solamente violenta o può essere anche propositiva ad un’idea?
RispondiEliminaCome tutti i grandi temi anche quello della politica riguarda ognuno di noi e il futuro della specie umana. Perché allora il discorso non si estende dagli “esperti”anche alle aule scolastiche, con il proposito di stimolare gli alunni al diritto-dovere di ampliare le proprie forze cognitive, ma ancor più quelle morali, per orientare i propri pensieri e le proprie azioni ad un orizzonte che guardi oltre le proprie necessità immediate? Perché la parola “politica” a scuola è ancora per molti quasi un tabù? Forse perché gli insegnanti sono condizionati da scelte corporative, da visioni autoritarie o populistiche, non solo tra Istituti e materie diverse, ma anche all’interno di una stessa classe o materia di concorso?
Dopo questa premessa, carissimo Carlo, vorrei dirti che credo anch’ io nella “discussione pacata” dei punti di vista, di tutti i punti di vista, ma penso anche che ciò non possa accadere senza considerare attentamente i diversi punti di partenza.
Gli insegnanti che fanno copiare i propri studenti agli esami di Stato (o durante l’anno..) non lo fanno solamente per “brillare di luce riflessa”, ma per difendere se stessi e a volte il loro posto di lavoro (..non li giustifico); facilitare la “copiatura” può significare avere i numeri per fare una nuova classe o per sollecitare nuove iscrizioni; “chiudere gli occhi” può servire a camuffare il proprio disimpegno e la propria scarsa professionalità, la paura di contrariare gli alunni e i genitori o semplicemente evitare nuove-impegnative iniziative.
Gli insegnanti o dirigenti (oggi si chiamano così!!) che preferiscono simili “soluzioni di corto respiro capaci di risolvere i problemi immediati, in grado di soddisfare i bisogni momentanei”, gli insegnanti/dirigenti che seguono la loro “inclinazione edonistica”, sollecitando la“cultura del narcisismo” nei loro stessi alunni..sono gli abili mistificatori, quelli che sembrano “buoni-bravi-flessibili-dispinibili..” (APPARIRE)
I docenti che vivono invece con la “coscienza pulita”, che credono nel diritto-dovere all’istruzione-educazione (permanente), che contrastano le raccomandazioni e i falsi improvvisi miracoli senza temere il confronto e l’insuccesso degli alunni, sono quelli che sembrano “troppo severi “, “autoritari”, “moralisti”, “passionali” , “don Chisciotte”.. (ESSERE).
Mi ripeterò: non sempre le cose sono, fortunatamente, come sembrano e non sempre, soprattutto, i peggiori sono i più numerosi. Gli insegnanti, che preferiscono ”essere” piuttosto che ”apparire” credo che siano solamente meno visibili ma in maggioranza. Questi docenti sono quelli che forse accettano, con maggiore consapevolezza, il fatto che nel mondo non esistono solo le “eccellenze” e che dalle “Querce non nascono le melarance”; sono quelli che credono che lo scopo della loro professionalità non significhi ottenere semplicemente un risultato, ma accompagnare gli alunni in un tratto del percorso della vita.
La gioia, infatti, procurata da un piccolo passo, fatto dai “meno bravi” (scolasticamente parlando), non è certamente inferiore a quella a noi concessa da coloro che avanzano sin dall’inizio a grandi passi. Importante è cercare sempre di preparare i giovani ad affrontare in modo costruttivo anche gli insuccessi, perché capire che un compito o una interrogazione possono non andar bene significa : “ho già, in parte, rimediato”.
Nella vita non tutte le prove hanno l’esito sperato, ma chi ha “perle da utilizzare” e non “sassi”, chi ha la consapevolezza di sé e dell’altro, forse sarà un ribelle non violento.
(Ross Stefa)