Memoria, oblio e storia: seconda
parte
2. L'Italia e il
controverso passato recente: le polemiche
Anche l'Italia ha avuto le sue
dure polemiche sul passato recente; anche da noi le contese hanno avuto come
oggetto il fascismo e l'antifascismo. Fino ai primi anni Sessanta, la
storiografia ha esorcizzato la questione delle cause del fascismo:
secondo Croce il ventennio fu una parentesi nella storia d'Italia, frutto di un temporaneo decadimento morale. Poi, sotto l'influenza del marxismo, il fascismo fu giudicato una dittatura frutto della reazione del capitalismo contro le classi popolari italiane, estranee, quindi, a qualsiasi forma di consenso nei confronti del regime. La memoria ufficiale così si era formata: le classi popolari hanno subito la brutalità della dittatura, ma se ne sono liberate grazie alla Resistenza, una rivoluzione di massa i cui esiti più avanzati sarebbero stati bloccati dalla piega conservatrice presa dagli eventi tra 1945 e 1948.
secondo Croce il ventennio fu una parentesi nella storia d'Italia, frutto di un temporaneo decadimento morale. Poi, sotto l'influenza del marxismo, il fascismo fu giudicato una dittatura frutto della reazione del capitalismo contro le classi popolari italiane, estranee, quindi, a qualsiasi forma di consenso nei confronti del regime. La memoria ufficiale così si era formata: le classi popolari hanno subito la brutalità della dittatura, ma se ne sono liberate grazie alla Resistenza, una rivoluzione di massa i cui esiti più avanzati sarebbero stati bloccati dalla piega conservatrice presa dagli eventi tra 1945 e 1948.
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Lo storico italiano Renzo De Felice (1929-1996) |
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Il primo volume della biografia su Mussolini scritta da De Felice |
Come è successo per la Germania
con gli studi di Nolte, in Italia gli studi di Renzo De Felice sul fascismo
(iniziati negli anni Sessanta e terminati negli anni Novanta) provocarono un
ripensamento e una profonda revisione di questa “vulgata”.
L'opera di De Felice valutò del fascismo aspetti che fino a quel momento erano stati dimenticati o non studiati: il suo rapporto con le ideologie rivoluzionarie del Novecento, il suo legame con i cambiamenti rivoluzionari generati dalla prima guerra mondiale e infine l'aspetto del consenso nella costruzione del regime. Quest'ultimo aspetto, in particolare, suscitò le più forti reazioni contro De Felice: lo storico, infatti, sosteneva che la dittatura aveva goduto, come tutti i totalitarismi del Novecento, di un ampio consenso mobilitato dalle organizzazioni di massa del fascismo e cresciuto almeno fino al 1936, anno della conquista dell'Etiopia; cominciò a decadere, invece, quando l'Italia si avvicinò alla Germania, si alleò con essa, ne sposò la politica razziale, ne accettò la follia bellicista. La guerra e i tragici rovesci militari sancirono la rottura tra regime e popolazione.
L'opera di De Felice valutò del fascismo aspetti che fino a quel momento erano stati dimenticati o non studiati: il suo rapporto con le ideologie rivoluzionarie del Novecento, il suo legame con i cambiamenti rivoluzionari generati dalla prima guerra mondiale e infine l'aspetto del consenso nella costruzione del regime. Quest'ultimo aspetto, in particolare, suscitò le più forti reazioni contro De Felice: lo storico, infatti, sosteneva che la dittatura aveva goduto, come tutti i totalitarismi del Novecento, di un ampio consenso mobilitato dalle organizzazioni di massa del fascismo e cresciuto almeno fino al 1936, anno della conquista dell'Etiopia; cominciò a decadere, invece, quando l'Italia si avvicinò alla Germania, si alleò con essa, ne sposò la politica razziale, ne accettò la follia bellicista. La guerra e i tragici rovesci militari sancirono la rottura tra regime e popolazione.
Infine, nell'ultimo volume dell'immensa
biografia su Mussolini, e in alcuni libri-intervista (sono noti, ad esempio, Intervista sul fascismo, a cura di
Michael Ledeen, Bari, Laterza, 1975 e Rosso e Nero, a cura di Pasquale
Chessa, Milano, Baldini&Castoldi, 1995) lo storico avanzò anche l'ipotesi
che tra il 1943 e il 1945, gli anni della Resistenza, più che una rivoluzione
di massa si fosse combattuta una guerra civile tra due minoranze, mentre la
gran massa della popolazione italiana, la cosiddetta “zona grigia”, sarebbe
rimasta alla finestra in attesa degli eventi. De Felice si era basato su
un'immensa mole di documenti mai esplorati e del tutto ignorati prima di
allora; eppure, malgrado la forza scientifica dell'opera, questa fu demonizzata
e sottoposta ad un durissimo attacco da parte di storici ed intellettuali di
sinistra che erano i custodi della memoria ufficiale sul fascismo: De Felice
divenne in Italia lo spregevole simbolo del revisionismo e spesso duramente e
violentemente contestato anche per impedirgli di tenere lezioni all'Università
La Sapienza, dove insegnava.
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Giampaolo Pansa |


Questi esempi documentano quanto
si diceva all'inizio: finché regge, una memoria ufficiale è indiscutibile per i
più, e svolge un ruolo di igiene psico-sociale, ovvero rimuove la memoria delle
colpe, libera la coscienza collettiva dal peso della responsabilità per quanto
è avvenuto e consente di riprendere a vivere dopo il trauma patito: nel caso
dell'Italia, il trauma fu prodotto dalla guerra, dalla divisione della nazione,
dalla doppia occupazione e, ancora più in profondità, dal senso di colpa per il
consenso più o meno esplicito tributato alla dittatura da parte di ampi settori
della società. Poi, quando lo scorrere del tempo porta a galla nuovi punti di
vista e le nuove generazioni si sentono meno bloccate dal senso di colpa, ecco
che la memoria ufficiale viene sottoposta ad un processo di inevitabile
revisione. È vero che in questi casi può esserci un'enfasi eccessiva sul
diritto alla memoria da parte di chi era stato dimenticato dalla precedente
memoria ufficiale, ma questo eccesso non deve essere confuso con lo spirito che
dovrebbe muovere l'azione di ricerca dello storico onesto. Lo storico ha il
compito di capire, non di costruire “verità”, sicché ogni tentativo di
accettarne una fissa e ufficiale è un tradimento del suo dovere professionale.
Lo storico ha l'obbligo di essere critico verso la memoria ufficiale, ha
l'obbligo di essere “revisionista”. L'esito del processo di revisione non è la
scoperta della verità, ma una spiegazione più completa dei traumi patiti da
tutti; nei casi migliori può condurre a costruire una memoria condivisa, o per
lo meno pacificata, anche se permangono le divisioni.
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Il filosofo Avishai Margalit. Attualmente insegna a Princeton |

Margalit ci consiglia di seguire una strada
impervia: l’obiettivo del ricordo senza odio è difficile da perseguire
volontariamente, solo con il tempo e con molto auto dominio si può raggiungere
il risultato di occultare l'emozione del ricordo senza cancellare la memoria
dell’evento. In questo il discorso pubblico, da cui dipende la memoria collettiva,
deve aiutare a ripulire la memoria dell'evento dalle incrostazioni delle
emozioni, e ridare agli eventi dolorosi la loro giusta prospettiva e
collocazione nella storia. Cultura, intellettuali, stampa, televisione e
insegnanti hanno un ruolo fondamentale in questa operazione.
Solo così, comprendendo con pietas
il significato degli eventi, rinunciando all'emozione, si può accettare di
avere di uno stesso evento diverse letture e diverse interpretazioni, una
memoria quindi divisa, ma una coscienza collettiva pacificata, perché ripulita
dall'odio. I conti con le memorie, in questo modo, possono “tornare” e condurre
all'accettazione condivisa delle fratture che i conflitti hanno generato, senza
più odiare il nemico, senza più auspicarne la morte.
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