Chiedo due volte scusa ai miei (eroici) lettori. Scusa per aver lasciato trascorrere così tanto tempo dall'ultimo aggiornamento; scusa per un errore inserito nell'ultimo post pubblicato. Per il primo fatto forse posso invocare un'attenuante, ovvero gli impegni personali che non mi hanno consentito di seguire il blog come avrei voluto. Per il secondo fatto, l'errore inserito nel post del 5 agosto, vedete voi se assolvermi o meno: al termine di quell'articolo avevo scritto che la prossima parte sulla questione dei giovani (quella che pubblico oggi) sarebbe stata l'ultima; invece avrei dovuto scrivere "penultima". Insomma, oltre a quella di oggi dovrete sorbirvi un'altra parte! Ma, come dicevo all'inizio, so che siete eroici...
5a parte - Gli ultimi 30 anni: il giovane diviene categoria sociologica

![]() |
Fitness e divertimento: mete esistenziali per giovani e giovanilisti di oggi |
Così,
la condizione del giovane si è enormemente estesa, andando ben oltre la soglia
dei 50 anni, poiché il sistema delle comunicazioni di massa (pubblicità, il
cinema, la televisione, internet) e le pratiche quotidiane da esso divulgate
(lo sport, l’igienismo, il fitness, il culto del corpo, la cosmesi ecc.)
impongono la giovinezza come modo dell’apparire, come superficie fisica, come
qualità dell’aspetto, non come classificazione anagrafica. Si è giovani se nel
modo di apparire, di atteggiarsi, di vestire, di parlare, di pensare si è
diversi rispetto agli anziani, categoria con la quale oggi nessuno vuole più
identificarsi. Questa è la diversità del giovane la quale diviene categoria
sociologica indicante un certo tipo di individuo, trasgressivo, dinamico,
relativista nei valori, aggressivo e un pochino arrogante. Dagli anni Cinquanta
in poi la condizione giovanile ha fatto passi da gigante: prima ribelle, poi
contestatrice, quindi marginale e diversa; ora la diversità giovanile è
divenuta un valore aggiunto capace di generare successo, poiché la capacità di
trasgressione che un giovane può portare in un’attività produttiva si trasforma
in guadagno immediato. Marginale, oggi, è la società “vecchia”: non solo e non
tanto gli anziani (che, anzi, numericamente sono in continuo aumento nelle
società occidentali: vedere le piramidi della popolazione italiana in fondo all'articolo) ma soprattutto ciò che è regolare, ordinato,
consequenziale e che pretende di trasmettere un sapere tradizionale: per questo
scuola, famiglia, politica, istituzioni sono poco amate da chi è giovane e da
chi si ritiene ancora tale, anche se ha superato la soglia dei cinquant’anni.
Ma
allora il disagio giovanile non esiste? Cerchiamo di capirlo leggendo alcune
indicazioni contenute nel 5°, nel 6° e nel 7° rapporto Iard, basati su ricerche
condotte rispettivamente nel 2002, nel 2006 e nel 2010 (il 7° rapporto relativo
al 2010 non è stato ancora pubblicato; parti di esso si possono trovare in
internet, ad es. in http://www.degiovanimento.com/download/rapporto.pdf). L’istituto Iard (http://www.istitutoiard.it/), nato a Milano nel 1961, esegue ogni 4 anni, dal
1984, un’indagine nazionale sulla condizione giovanile in Italia; i risultati
di questa indagine vengono pubblicati dalla casa editrice Il Mulino di Bologna
con il titolo Rapporto Iard sulla
condizione giovanile in Italia (per il sesto rapporto del 2006 vedere la
scheda di presentazione in http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=11895). I rapporti Iard sono rivolti a genitori, educatori,
operatori e politici che si confrontano quotidianamente con i giovani.
![]() |
Il sesto Rapporto Iard pubblicato da Il Mulino |
Dagli
ultimi due rapporti emerge che i giovani italiani non sono emarginati o
sradicati, ma sono in perfetta sintonia con il loro tempo, anzi le tendenze che
si manifestano nelle classi di età prese in considerazione (dai 15 ai 34 anni)
si diffondono in tutta la popolazione italiana. Tendenze comuni all’intera
popolazione italiana sono ad esempio: la ricerca dell’autorealizzazione
attraverso il consumo; il ruolo importante assunto dallo svago per stabilire
relazioni e identità; infine la lenta transizione verso l’età adulta, lentezza
amplificata dall’allungamento dei tempi di permanenza nel sistema
dell’istruzione (fino a vent’anni i giovani che escono dal sistema scolastico
sono una minoranza), dalla tendenza a rimanere fino oltre la soglia dei
trent’anni nella stessa abitazione con i genitori (solo il 30% dei giovani tra
25 e 29 anni esce dalla casa dei genitori; ben un terzo dei giovani tra 30 e 34
anni vive ancora con i genitori), dalle difficoltà connesse con l’accesso nel
mondo del lavoro.
![]() |
In Italia 1/3 dei giovani tra i 30 e i 34 anni vive ancora con i genitori |
Il dato relativo alla disoccupazione giovanile va preso con cautela, perché la situazione
del lavoro giovanile è cambiata più volte negli ultimi trent’anni. Dal 1996 al
2006 la disoccupazione giovanile è diminuita: i giovani lavoratori tra 18 e 20
anni in quel periodo sono raddoppiati (nel ’96 ne lavorava solo il 10%, nel
2006 21%); di quelli tra 21 e 29 anni nel 2006 ne lavorava il 39% e i giovani
tra 30 e 34 anni costituivano in quell’anno il 57% della forza lavoro. In quel
decennio la tendenza del mercato del lavoro è stata di assorbimento della forza
lavoro giovanile, non di espulsione.
Oggi, invece, le cose sono cambiate:
dall’inizio dell’attuale crisi (2008) al corrente anno, sono stati i giovani a
pagare in Italia il prezzo più elevato, dal momento che la disoccupazione di
coloro che hanno un’età compresa tra i 15 e i 24 anni ha superato il livello
record del 36%. Il sistema economico, in momenti di estrema difficoltà come
quello che stiamo vivendo, tende a tutelare i lavoratori con più esperienza e
maggiore anzianità, piuttosto che investire in innovazione e gioventù, fattori
di crescita ma anche di rischio. Anche negli altri paesi europei, sia pure con
differenze dovute al livello di sviluppo e alle politiche seguite, si vive una
situazione simile. In Italia la disoccupazione giovanile appare più allarmante perché nel nostro paese l'età media in ogni ambito lavorativo è la più elevata della UE, e la stessa classe dirigente appare come una gerontocrazia impermeabile al ricambio generazionale. Strano paese il nostro: nessuno ama l'appellativo di "vecchio", tutti si sentono "giovani", ma i giovani veri non hanno spazio...
La piramide della popolazione italiana: confronti tra 1911, 2001, 2011
Veramente interessante l' analisi del fenomeno; il contagio degli adulti, che inseguono il mito della gioventù a tutti i costi e con ogni mezzo, suscita spesso tristezza e a volte mi sembra più grave dell'incertezza e della precarietà dei giovani, cadendo in forme che spesso rasentano il ridicolo.
RispondiEliminaParole sante, Andrea! I giovani tendono a guardare gli adulti come modello, o per imitarlo o per contrastarlo. Che tipo di modello offre un adulto medio di oggi ai suoi figli? E' tatuato come loro, si veste come loro, pensa e si comporta come loro; un ridicolo giovane di 45-50 anni. La mancanza di adulti che sappiano fare gli adulti (in particolare la mancanza di padri... ma qui il discorso sarebbe troppo lungo) è un'emergenza nazionale, forse più grave, come dici tu, della precarietà giovanile. Grazie per la tua assiduità e per l'apprezzamento! Ciao!
RispondiElimina