lunedì 13 agosto 2012

Giovani e giovanilismo: gli ultimi trent'anni

Chiedo due volte scusa ai miei (eroici) lettori. Scusa per aver lasciato trascorrere così tanto tempo dall'ultimo aggiornamento; scusa per un errore inserito nell'ultimo post pubblicato. Per il primo fatto forse posso invocare un'attenuante, ovvero gli impegni personali che non mi hanno consentito di seguire il blog come avrei voluto. Per il secondo fatto, l'errore inserito nel post del 5 agosto, vedete voi se assolvermi o meno: al termine di quell'articolo avevo scritto che la prossima parte sulla questione dei giovani (quella che pubblico oggi) sarebbe stata l'ultima; invece avrei dovuto scrivere "penultima". Insomma, oltre a quella di oggi dovrete sorbirvi un'altra parte! Ma, come dicevo all'inizio, so che siete eroici... 


5a parte - Gli ultimi 30 anni: il giovane diviene categoria sociologica

Non è un caso che, finito il movimento del ’77, inizi, nei comportamenti giovanili, il cosiddetto “riflusso nel privato”, ovvero la coltivazione del consumo, il perseguimento dell’affermazione personale, il narcisismo. Il termine “giovane” diviene definitivamente una categoria sociologica poiché, come dicono le ricerche sociali sulla condizione giovanile condotte dagli anni Ottanta in poi, ormai è giovane il dodicenne che vive con ansia i temi e i problemi prima appartenenti ad un’età più avanzata (relazioni sessuali, autonomia di vita, consumi); ma lo è anche il quarantenne che non vuole integrarsi nella vita adulta e ne rifiuta riti e istituzioni: il matrimonio, la stabilità di coppia, la routine del lavoro. Il lavoro in genere non è visto come luogo di affermazione personale, ma come passaggio obbligato per ottenere i mezzi economici che servono per il consumo e per il divertimento, vere mete esistenziali della nuova condizione giovanile.
Fitness e divertimento: mete esistenziali per giovani e giovanilisti di oggi
Così, la condizione del giovane si è enormemente estesa, andando ben oltre la soglia dei 50 anni, poiché il sistema delle comunicazioni di massa (pubblicità, il cinema, la televisione, internet) e le pratiche quotidiane da esso divulgate (lo sport, l’igienismo, il fitness, il culto del corpo, la cosmesi ecc.) impongono la giovinezza come modo dell’apparire, come superficie fisica, come qualità dell’aspetto, non come classificazione anagrafica. Si è giovani se nel modo di apparire, di atteggiarsi, di vestire, di parlare, di pensare si è diversi rispetto agli anziani, categoria con la quale oggi nessuno vuole più identificarsi. Questa è la diversità del giovane la quale diviene categoria sociologica indicante un certo tipo di individuo, trasgressivo, dinamico, relativista nei valori, aggressivo e un pochino arrogante. Dagli anni Cinquanta in poi la condizione giovanile ha fatto passi da gigante: prima ribelle, poi contestatrice, quindi marginale e diversa; ora la diversità giovanile è divenuta un valore aggiunto capace di generare successo, poiché la capacità di trasgressione che un giovane può portare in un’attività produttiva si trasforma in guadagno immediato. Marginale, oggi, è la società “vecchia”: non solo e non tanto gli anziani (che, anzi, numericamente sono in continuo aumento nelle società occidentali: vedere le piramidi della popolazione italiana in fondo all'articolo) ma soprattutto ciò che è regolare, ordinato, consequenziale e che pretende di trasmettere un sapere tradizionale: per questo scuola, famiglia, politica, istituzioni sono poco amate da chi è giovane e da chi si ritiene ancora tale, anche se ha superato la soglia dei cinquant’anni.

Ma allora il disagio giovanile non esiste? Cerchiamo di capirlo leggendo alcune indicazioni contenute nel 5°, nel 6° e nel 7° rapporto Iard, basati su ricerche condotte rispettivamente nel 2002, nel 2006 e nel 2010 (il 7° rapporto relativo al 2010 non è stato ancora pubblicato; parti di esso si possono trovare in internet, ad es. in http://www.degiovanimento.com/download/rapporto.pdf). L’istituto Iard (http://www.istitutoiard.it/), nato a Milano nel 1961, esegue ogni 4 anni, dal 1984, un’indagine nazionale sulla condizione giovanile in Italia; i risultati di questa indagine vengono pubblicati dalla casa editrice Il Mulino di Bologna con il titolo Rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia (per il sesto rapporto del 2006 vedere la scheda di presentazione in http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=11895). I rapporti Iard sono rivolti a genitori, educatori, operatori e politici che si confrontano quotidianamente con i giovani. 
Il sesto Rapporto Iard
pubblicato da Il Mulino
Dagli ultimi due rapporti emerge che i giovani italiani non sono emarginati o sradicati, ma sono in perfetta sintonia con il loro tempo, anzi le tendenze che si manifestano nelle classi di età prese in considerazione (dai 15 ai 34 anni) si diffondono in tutta la popolazione italiana. Tendenze comuni all’intera popolazione italiana sono ad esempio: la ricerca dell’autorealizzazione attraverso il consumo; il ruolo importante assunto dallo svago per stabilire relazioni e identità; infine la lenta transizione verso l’età adulta, lentezza amplificata dall’allungamento dei tempi di permanenza nel sistema dell’istruzione (fino a vent’anni i giovani che escono dal sistema scolastico sono una minoranza), dalla tendenza a rimanere fino oltre la soglia dei trent’anni nella stessa abitazione con i genitori (solo il 30% dei giovani tra 25 e 29 anni esce dalla casa dei genitori; ben un terzo dei giovani tra 30 e 34 anni vive ancora con i genitori), dalle difficoltà connesse con l’accesso nel mondo del lavoro. 
In Italia 1/3 dei giovani tra i 30 e i 34 anni vive ancora con i genitori
Il dato relativo alla disoccupazione giovanile va preso con cautela, perché la situazione del lavoro giovanile è cambiata più volte negli ultimi trent’anni. Dal 1996 al 2006 la disoccupazione giovanile è diminuita: i giovani lavoratori tra 18 e 20 anni in quel periodo sono raddoppiati (nel ’96 ne lavorava solo il 10%, nel 2006 21%); di quelli tra 21 e 29 anni nel 2006 ne lavorava il 39% e i giovani tra 30 e 34 anni costituivano in quell’anno il 57% della forza lavoro. In quel decennio la tendenza del mercato del lavoro è stata di assorbimento della forza lavoro giovanile, non di espulsione. 
Oggi, invece, le cose sono cambiate: dall’inizio dell’attuale crisi (2008) al corrente anno, sono stati i giovani a pagare in Italia il prezzo più elevato, dal momento che la disoccupazione di coloro che hanno un’età compresa tra i 15 e i 24 anni ha superato il livello record del 36%. Il sistema economico, in momenti di estrema difficoltà come quello che stiamo vivendo, tende a tutelare i lavoratori con più esperienza e maggiore anzianità, piuttosto che investire in innovazione e gioventù, fattori di crescita ma anche di rischio. Anche negli altri paesi europei, sia pure con differenze dovute al livello di sviluppo e alle politiche seguite, si vive una situazione simile. In Italia la disoccupazione giovanile appare più allarmante perché nel nostro paese l'età media in ogni ambito lavorativo è la più elevata della UE, e la stessa classe dirigente appare come una gerontocrazia impermeabile al ricambio generazionale. Strano paese il nostro: nessuno ama l'appellativo di "vecchio", tutti si sentono "giovani", ma i giovani veri non hanno spazio... 

Malgrado i cambiamenti del mercato del lavoro, ciò che tra i giovani non è cambiata è la tendenza a ritardare il momento della procreazione di un figlio: oggi, a causa della crisi, i tempi per la formazione di una famiglia si sono ovviamente allungati, ma già nel periodo 1996-2006, quando i tempi per trovare un lavoro, una volta usciti dalla scuola, erano molto più brevi, rimanevano sempre lunghi quelli che trascorrevano tra l’acquisizione di un lavoro e la formazione della famiglia: segno evidente che sono le responsabilità della vita adulta ad essere spostate sempre più avanti nel tempo. Le cinque tappe della transizione alla vita adulta (conclusione degli studi, ingresso nel mondo del lavoro, uscita di casa, formazione di una nuova famiglia, nascita di un figlio), insomma, si sono allungate molto e si rende sempre più evidente la tendenza a procrastinare le scelte della tappa successiva. Non a caso gli ultimi rapporti Iard (in particolare il VI del 2006) sottolineano che i giovani italiani si dichiarano sostanzialmente soddisfatti della loro vita attuale (circoscritta al “piccolo” dell’ambiente familiare e al benessere immediato e quotidiano che questo è in grado di garantire), mentre vedono la sfida del crescere come un evento lontano che interesserà forse gli anni successivi all’università. (5 – continua. La prossima sarà l’ultima parte: giuro)

La piramide della popolazione italiana: confronti tra 1911, 2001, 2011



2 commenti:

  1. Veramente interessante l' analisi del fenomeno; il contagio degli adulti, che inseguono il mito della gioventù a tutti i costi e con ogni mezzo, suscita spesso tristezza e a volte mi sembra più grave dell'incertezza e della precarietà dei giovani, cadendo in forme che spesso rasentano il ridicolo.

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  2. Parole sante, Andrea! I giovani tendono a guardare gli adulti come modello, o per imitarlo o per contrastarlo. Che tipo di modello offre un adulto medio di oggi ai suoi figli? E' tatuato come loro, si veste come loro, pensa e si comporta come loro; un ridicolo giovane di 45-50 anni. La mancanza di adulti che sappiano fare gli adulti (in particolare la mancanza di padri... ma qui il discorso sarebbe troppo lungo) è un'emergenza nazionale, forse più grave, come dici tu, della precarietà giovanile. Grazie per la tua assiduità e per l'apprezzamento! Ciao!

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