L’orrore servito
su Youtube
Lascio ancora una volta le beghe
politiche italiane, e in particolare la telenovela dei deputati M5S e dei
burrascosi rapporti con il loro leader, per dedicarmi alle più gravi questioni
internazionali di queste ultime settimane. Tornerò in post futuri sulla “grilleide”.
Qui mi occupo di nuovo della
Siria (ho già scritto un post sulla questione il 29 dicembre scorso), perché
quello sventurato paese sta diventando un banco di macelleria, per parafrasare
il giudizio di Hegel sulla storia contemporanea. Il Time del 27 maggio scorso ha dedicato un servizio alla questione,
titolando in copertina Syria’s descent
into madness. Il resoconto, scritto da Aryn Baker e corredato da
raccapriccianti fotografie, lascia letteralmente allibiti: entrambi i lati
della guerra civile, in corso da due anni (guerra che, non dimentichiamo, ha
già mietuto 90 mila vite umane), sono piombati, spiega l’autore, nelle “profondità
di una nuova depravazione” che viene accuratamente documentata dai carnefici
per essere postata su Youtube, ad uso di milioni di persone in tutto il mondo.
Il servizio della rivista
americana racconta, in particolare, la storia di Khalid al-Hamad, nome di
battaglia Abu Sakkar, comandante di una delle brigate di ribelli che si
oppongono al regime di Assad. Ebbene, costui di recente ha girato un video, tra
i tanti cruenti che ha già reso pubblici, in cui lo si vede impugnare un
coltello mentre si sta chinando sul corpo di un soldato morto. C’è un buco nel
petto del soldato; dal buco Abu Sakkar estrae dapprima quel che sembra essere
il cuore dell’uomo e lo appoggia su un piatto, poi strappa dalla cavità quel
che sembra essere un polmone. Dopo aver scavato ancora per qualche secondo
nella carne del cadavere, alza il viso verso la videocamera, tenendo un organo
in ciascuna mano e dice: “Giuro che vi mangeremo i cuori e i fegati, cani di
Bashar!”. La truculenta minaccia è rivolta ai sostenitori del Presidente Bashar
al-Assad, contro il quale i ribelli sono insorti. Tutto intorno alla scena una
piccola folla grida “Allah akbar!” (“Allah è grande”). Poi Abu Sakkar porta uno
dei due organi sanguinolenti alle labbra e inizia a strappare pezzi di carne con
i denti.
Combattenti dell'Fsa ad Aleppo |
Il video è stato postato il
12 maggio su Youtube dai sostenitori di Assad per dimostrare che i ribelli sono
teppisti e terroristi; il suo contenuto è stato anche condannato dall’Fsa (Free
Syrian Army), una delle principali forze antigovernative: i comandanti di
questo esercito ribelle hanno affermato che cercheranno Abu Sakkar e che lo
processeranno. Ma nel frattempo “il video è stato accolto con giubilo
trionfante da molti simpatizzanti dei ribelli, i quali hanno esaltato al-Hamad
perché risponde con atrocità alle atrocità del regime”. Un fan ha postato su Facebook
un commento che ha avuto poi un’ampia circolazione: “Abu Sakkar, possa tu
essere benedetto da Dio, e che ti dia la forza”. Un altro ha scritto: “Ciò che
hai fatto è la vendetta nei confronti dei fratelli uccisi”. Su Facebook gli
attivisti della ribellione anti-Assad hanno cambiato in massa il loro stato,
nel quale tuttora si può leggere, accanto al link del video, “Abu Sakkar, il
mangiatore di cuori dei Shabiha, mi rappresenta” (Shabiha è il termine
spregiativo per indicare i teppisti leali al regime).
Al-Hamad e i suoi seguaci,
combattenti o meno, non mostrano vergogna né pentimento per aver compiuto o
difeso simili atroci comportamenti. Non si sentono in colpa neppure di fronte
alla religione islamica che, pure, condanna il cannibalismo. Essi affermano che
la violenza, anche la più efferata e raccapricciante, è solo una reazione ai
crimini commessi dal regime, una vendetta, insomma, provocata dalle atrocità compiute
dal governo e dai suoi sostenitori in questi due anni di guerra civile. “Voi –
ha dichiarato al-Hamad a Time che
l’ha intervistato tramite Skype – non avete visto ciò che noi abbiamo visto,
non avete vissuto quel che noi abbiamo vissuto”. Nessuno, hanno affermato su
internet molti suoi sostenitori, ha il diritto di parlare e di criticare se non
ha vissuto lo strazio che Assad ha inflitto alla sua stessa popolazione.
In effetti, il regime ha
commesso crimini anche più gravi di quello commesso da al-Hamad. Ha sparato su
folle inermi che manifestavano; ha raso al suolo interi villaggi, perché
ritenuti rifugi di “terroristi e ribelli”, e bruciato i corpi degli abitanti dopo
averne accatastato i cadaveri; ha torturato, seviziato, stuprato centinaia di
individui solo perché sospettati di essere semplici oppositori del regime; ha
utilizzato milizie irregolari formate da teppisti che hanno seminato il terrore
in ogni città, in ogni quartiere. Nel 2011 destò orrore in tutto il mondo la
storia del tredicenne Hamza Alì al-Khateeb, torturato fino alla morte dalle
soldataglie di Assad (vedi, ad esempio, la notizia sul Daily Mail on line). Oggi le Nazioni Unite stanno raccogliendo prove
relative all’uso di armi batteriologiche o chimiche contro la popolazione
civile. Rapporti dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani affermano che
i morti di questi terrificanti 24 mesi di conflitto potrebbero essere molti di
più dei 93 mila finora censiti (vedi United Nations Uman Rights, Office of the High Commissioner).
Le atrocità commesse da ambo
le parti scoraggiano gli interventi dell’Occidente: la Casa Bianca, che proprio
in queste ore sta decidendo se fornire armi ai ribelli, è stata molto titubante
finora, perché sapeva che gli aiuti militari potevano finire nelle mani di
personaggi come al-Hamad. Del resto non è facile districarsi nel ginepraio
delle forze siriane ribelli: accanto all’FSA, apparentemente più affidabile,
sappiamo che vi è anche il Fronte al-Nusra, gruppo terroristico affiliato ad
al-Qaeda; infine vi sono i gruppi autonomi come quello comandato da al-Hamad,
ovvero la Brigata Omar al-Farooq: gruppi che nominalmente dovrebbero
riconoscersi nella coalizione di forze dell’Fsa, ma non sempre questa alleanza condivide
l’operato di tutte fazioni, pur riconoscendone l’utilità, in una lotta senza quartiere
com’è la guerra civile siriana.
Ma in questo guazzabuglio di
sigle, di gruppi, di orrore e di sangue, il nuovo protagonista è diventato
internet. “Se la Primavera Araba – commenta il Time – ha dato al mondo la sua prima rivoluzione accompagnata da
Facebook, la Siria sta partorendo la prima guerra con Youtube”. Se in Egitto e in
Tunisia i social network servirono a diffondere le parole d’ordine della
rivolta e a riprendere le immagini delle manifestazioni pacifiche, oggi in
Siria i social media servono a diffondere una perversa propaganda fatta di
atrocità, di orrore, di morte. Le due parti sembrano competere nel postare
video più raccapriccianti di quelli del nemico, sia per dimostrarne l’immoralità,
sia per terrorizzarlo con l’esibizione delle azioni di vendetta: “occhio per
occhio, dente per dente”. I combattenti delle opposte formazioni hanno preso
alla lettera il precetto religioso.
Si potrebbe candidamente
osservare che basterebbe un po’ più di rigore censorio, da parte degli
amministratori di Youtube, per evitare la rincorsa alla pubblicazione degli
orrori. Ma non è così, sarebbe un’osservazione ingenua e irrealistica. Intervistati
da Time, i responsabili di Google,
attuale compagnia proprietaria di Youtube, sono stati chiarissimi: anche
possedendo una definizione di “filmato inappropriato”, definizione che non
esiste, sarebbe impossibile controllare il flusso dei video riversati in rete
tramite questo social media: ogni minuto vengono postati su Youtube 72 ore di
filmati, troppo per effettuare controlli di tipo “morale” del contenuto. Ma non
è solo questo il problema, poiché volendo si potrebbe trovare ad esso una
soluzione tecnologica. Il vero problema è che la politica di chi gestisce
Youtube è contraria a qualsiasi tipo di limitazione, eccezion fatta per la
violazione del diritto d’autore. Un portavoce della compagnia (che non vuole
essere nominato) ha dichiarato a Time
che Youtube funziona come una piattaforma globale di notizie e di informazione
giornalistica. Sono gli individui comuni in tutto il mondo, afferma il
portavoce, ad essere i giornalisti: essi denunciano gli abusi dei regimi, documentano
violenze delle zone di guerra, informano sui disastri naturali… Impossibile
porre limiti a questa funzione, oltre l’inutile indicazione “vietato ai minori”:
ogni altra barriera sarebbe controproducente per Youtube, perché il flusso di
video troverebbe ospitalità altrove. In un mondo in cui ogni persona munita di
uno smart phone può trasformarsi in un video reporter, non sono ipotizzabili
né limiti né censure. “E così – conclude il giornalista del Time – la battaglia on line sulla Siria
resta altrettanto torbida, moralmente, quanto quella che si combatte nella
realtà”.
Il torbido di questa “battaglia
on line”, combattuta su Youtube a colpi di video horror, consiste in un fatto
inconfutabile: il fatto che milioni di persone possono dare il proprio
apprezzamento al filmato cliccando “mi piace”; possono poi scaricarlo,
divulgarlo, e farlo apprezzare da altri milioni di persone. Nei primi giorni
dopo la pubblicazione, il video di al-Hamad che dissacrava il corpo della sua
vittima era stato visto e apprezzato ben 885.000 volte, e duplicati del film
sono stati rintracciati ovunque in rete. Non è tanto la brutalità della guerra
a rendere moralmente fosca la vicenda del video e di tutti quelli (che sono
migliaia) altrettanto orribili che entrambi i contendenti hanno postato in
questi due anni.
Le guerre sono sempre
brutali: lo storico Omer Bartov (Fronte
orientale. Le truppe tedesche e l’imbarbarimento della guerra – 1941-1945, tr.
it. Bologna, Il Mulino, 2003) ha documentato a quali livelli di barbarie è
giunta la seconda guerra mondiale sul fronte orientale; commentando il libro di
Timothy Snyder (Terre di sangue. L’Europa
nella morsa di Hitler e Stalin, tr. it. Milano, Rizzoli, 2011) mi sono
occupato in un post del blog (il 3 gennaio di quest’anno) della violenza
irrazionale subita dalle inermi popolazioni della Polonia, della Bielorussia, dell’Ucraina
e dei Paesi baltici tra 1939 e 1945; noi stessi italiani sappiano cosa è
successo tra 1943 e 1945 quando l’esercito tedesco ha iniziato a ritirarsi
dalla penisola, quali eccidi efferati hanno compiuto i soldati comuni della
Wermacht, oltre ai nazisti; e sappiamo anche cosa è accaduto tra Lazio e
Campania dopo lo sfondamento della Linea Gustav nella primavera del 1944, ad
opera delle truppe marocchine al seguito degli Alleati. La guerra è barbarie;
una guerra civile, dove si sommano alle brutalità belliche gli odi ideologici e
quelli razziali, lo è ancor di più.
Ma quel che non è accaduto
nel corso della seconda guerra mondiale è che le azioni più efferate
ricevessero, in tempo reale, l’apprezzamento “democratico” di un pubblico di
milioni di persone: questo è l’aspetto più fosco della vicenda. Al-Hamad può
ben dire ai giornali occidentali che lo intervistano di non temere alcun
giudizio da parte dei tribunali, poiché su di lui si è già espressa la rete
assolvendolo, apprezzandolo, esaltandolo. Il nuovo tribunale della rete decide
senza alcun limite cosa è appropriato e cosa non lo è; cosa è moralmente giusto
e cosa è esecrabile. In Siria, e altrove in Medio Oriente e nel mondo, in
questo momento, per milioni di utenti di Youtube è moralmente legittimo tagliare
un dito ad un nemico come souvenir, oppure profanarne il cadavere asportando un
organo dal torso. Il web ci rende liberi? Si chiede in un recente libro Gianni
Riotta. Molto dipende dai contenuti che sapremo versare in rete, contenuti
nuovi, diversi da quelli del passato. Intanto, però, sembra essere il web a
versare in noi nuovi significati e nuovi contenuti. La violenza, vecchia come
il mondo, conosce oggi una nuova forma di legittimazione: il “mi piace” dei
social media. Un voto anonimo di un pubblico anonimo. E così, attraverso un
plebiscito digitale, ciò che più ci disumanizza diviene sociale e quindi umano,
ahi troppo umano.
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