La convivenza
civile ai tempi di Twitter
Sono rimasto lontano da Tersite
per molto tempo. Impegni personali, qualche giorno di vacanza “totale” e un po’
di stanchezza ne sono state le cause. Ma ora sono tornato, pronto a raccontare
e a spiegare ciò che vedo, nel modo in cui lo vedo. Sempre dalla periferia del
mondo.
Dalla periferia del mondo, racconto un’altra
storia vera, accadutami qualche giorno fa, alla fine del mese scorso. Da un po’
di tempo, simpatizzanti e militanti del M5S twittavano messaggi minacciosi: con
l’hastag “lautunnoèvicino”, sostenevano che “è arrivato il momento di preparare
gli elmetti”; “ne resterà soltanto uno dopo che avremo fatto piazza pulita”;
“il M5S sbarcherà in Tv interrompendo la disinformazione ai più”; “lotta dura
senza paura”; “li vedremo proprio bruciare”; “se la stanno proprio cercando”; “martiri
cercasi per fomentare sommossa popolare”; “sarà un piacere andare a Roma quando
Grillo chiamerà”. Il tutto spesso condito da parolacce e insulti verso questo o
quel politico (vedere gli screenshot qui sotto).
Quanto sto dicendo è facilmente verificabile
da chiunque: basta entrare in Twitter, cercare l’hastag #lautunnoèvicino e
godersi la lettura. Come è già accaduto per altri episodi, la Rete si è
mobilitata in questo modo a seguito della provocazione di Grillo che il 27
luglio scorso ha messo on line su Youtube un audio messaggio intitolato Grillo, la fine del Parlamento e della Costituzione. In esso, il pacato comico-politico critica il “decreto del
fare”, critica la volontà della maggioranza di modificare l’art. 138 della
Costituzione e termina dicendo, con crescendo di voce: “l’autunno è vicino, è
molto vicino”.
A scanso di equivoci, dico subito che tutto è
criticabile in politica: il decreto del fare non convince del tutto neppure me;
così come non mi va bene che si voglia cambiare la Costituzione proprio ora,
con questo Parlamento privo di equilibrio, oltre tutto emerso da una
competizione elettorale poco rappresentativa (svolta con il “Porcellum” e
con l’astensionismo più elevato della storia repubblicana); che infine questo
esecutivo e questo Parlamento abbiano fin qui fatto pochissimo lo vedo anch’io.
Aggiungo a queste critiche una considerazione che Grillo non poteva fare il 27
luglio, perché la vicenda si è conclusa qualche giorno più tardi: Berlusconi,
ora che è stato condannato in via definitiva, dovrebbe dimettersi; mi auguro
che il Presidente Napolitano non faccia nulla per salvarlo; mi aspetto, quando
la Commissione del Senato avrà deciso, di vederlo decadere dal suo seggio e
uscire finalmente dalla politica italiana.
Allo stesso tempo, però, non auspico né il
fallimento di questo governo, né tanto meno la guerra civile. So che questa
maggioranza non può che essere transitoria (ci mancherebbe!), ma spero che le poche
misure deliberate siano efficaci, che vengano rapidamente ratificate e applicate,
che riescano almeno a far ripartire qualche investimento. Poi, dopo aver varato
una nuova legge elettorale (che spero sia maggioritaria a doppio turno), si
dovrebbe tornare al voto. Questo è ciò che auspico. Perché dovrei pensarla
diversamente? Amo questo paese e vorrei vederlo in sesto, non vederlo bruciare
tra le fiamme di una guerra civile. Dalle guerre civili raramente emergono
istituzioni libere, più spesso vanno al potere uomini e movimenti politici arroganti
che si affrettano a regolare i loro conti usando la violenza e il terrore. E in
Italia, nel momento presente, di uomini politici inclini a questi comportamenti
e indulgenti nei confronti della prepotenza ce ne sono troppi. Basterebbe osservare
quanto sta accadendo sulla sponda opposta del Mediterraneo per capire a cosa
può portare una guerra civile: in Egitto è in corso da due anni una rivolta che
non solo ha prodotto finora due governi liberticidi, ma potrebbe trasformarsi
da un momento all’altro in un bagno di sangue (in queste ore, mentre sto
scrivendo, tale esito sembra ancora non del tutto scongiurato). E in Siria? Qui
la guerra civile ha raggiunto addirittura apici di orrore e raccapriccio da far
cambiare idea anche al più sconsiderato celebratore nostrano dei tumulti.
Purtroppo a noi italiani non piace fare tesoro delle esperienze altrui,
pensiamo di essere migliori e di aver scoperto la “via nuova” in ogni percorso
già battuto e abbandonato da altri.
Per tutte queste ragioni, il 28 luglio scorso
mi sono permesso di scrivere un tweet che esprimeva preoccupazione e timore per
le parole incendiarie utilizzate con leggerezza dai grillini: “I tweet del M5S –
ho affermato – fanno paura: parlano di elmetti, armi, minacciano che l’autunno
è vicino, che resteranno solo loro e che faranno piazza pulita”. Ingenuamente,
mi attendevo reazioni anche dure, ma comunque civili: twitter, dal quale solo
da poco tempo mi sono lasciato avvincere, mi è sembrato sempre un social network
più educato e pulito, più serio e impegnato di facebook. Errore! Tutto Internet
si assomiglia. E infatti ecco la risposta che ho ricevuto il giorno successivo da
un account che si nascondeva dietro l’anonimo nickname di “Antigiornale”: “L’autunno
è vicino - mi ha scritto - non è una minaccia da parte nostra, imbecille. Non è
certo grazie a noi se questo paese sta per fare una fine di merda”. All’offesa
ho tentato di opporre una resistenza disarmata: “Chi urla e insulta non ha
argomenti”. L’ulteriore replica del sedicente “Antigiornale” ha aggravato
l’ingiuria: “Non ho urlato ma scritto. Non ho insultato ma descritto”. Ho provato
di nuovo ad oppormi con le buone: “Rileggiti il tweet. Se ti esprimi sempre
così forse non capisci la differenza tra dialogo civile e insulto. Mi dispiace
per te”. Ultimo tweet del maleducato contestatore: “Cos’è, ti scandalizzi per le
parolacce? Benvenuto su internet”.
A questo punto ho provveduto a bloccare
“Antigiornale” (per chi non è pratico di twitter, “bloccare” un utente vuol
dire che tra me e lui non potranno più esserci “interazioni”), e senz’altro
avrei dovuto farlo subito, dopo il primo insulto, come suggeriscono le stesse
regole di impiego del social network. Ma non si può negare che il breve dialogo
di cinguettii sia stato istruttivo. Esso insegna tre cose: che internet è
considerato ancora da molti utenti come una piazza nella quale è lecito
picchiare duro con le parole, insultando e minacciando; che la possibilità
dell’anonimato è un incoraggiamento ad usare il linguaggio in modo offensivo, arrogante,
intimidatorio; che l’inciviltà di questo comportamento si autoassolve, agli
occhi di chi ne fa uso, perché sbandierata come “libertà d’espressione” e come
“antipotere”. “Benvenuto su Internet!”, scrive “Antigiornale”, come se volesse
dire: “In Rete tutto è consentito, non come nel vostro mondo reale dove ci sono
norme così stupide e antiquate che quando uno offende rischia di essere
querelato! Qui, in Internet, siamo più liberi, e soprattutto all’opposizione”.
All’opposizione di cosa? – vi chiederete. Basta leggere il profilo twitter del
mio interlocutore per farsene un’idea: “Il mio sogno è sfatare ogni singola
azione mass-mediatica. Nativo digitale. Scheda a cinque stelle. #Reddito di
cittadinanza”. Più sopra, in bell’evidenza, compare il motto: “IL MEDIUM È IL
MESSAGGIO”.
Se chi ha scritto quei tweet è davvero chi
dice di essere, ci troviamo di fronte ad un ragazzo di 20 anni o giù di lì
(“nativo digitale”, si autodefinisce); grillino; convinto di essere
all’opposizione di un sistema oppressivo e menzognero, quello dei mass-media;
forse inconsapevole del significato del motto che usa, popolare sintesi, spesso
equivocata, del pensiero di Marshall McLuhan (1911-1980). Sarebbe inutile
replicare al nostro “nativo digitale” che noi “anziani navigatori” frequentiamo
Internet da prima che lui nascesse e da molto prima che imparasse a scrivere;
che allora, appunto 20-21 anni fa, nessuno di noi avrebbe previsto a quale
livello di bassezze e di viltà sarebbe arrivata la Rete; che questa, lungi dal
rendere libere le nuove generazioni, ne sta corrompendo la capacità di
discernimento morale, ne sta alterando la percezione del mondo, ne sta deteriorando
il linguaggio e quindi le idee, talvolta trasformate in paranoia, delirio di
onnipotenza, egocentrismo adolescenziale. Sarebbe inutile spiegargli che,
utilizzando la Rete per insultare e minacciare, non solo si imbarbarisce un
mezzo di comunicazione potenzialmente in grado di civilizzare gli individui, ma
soprattutto si finisce per essere omologhi al sistema che si intende
combattere, accettandone gli aspetti più negativi, quali l’insensatezza, l’irresponsabilità,
il narcisismo che sono alla base della civiltà del consumo spensierato.
Sarebbe inutile, perciò non ci proverei
neppure. Meglio zittirlo con gli stessi mezzi tecnologici che adopera per
espandersi: bloccando le sue interazioni con me. Ma la vicenda è troppo ghiotta
e carica di significato per essere lasciata correre. La sua impressione su di
me è stata sicuramente enfatizzata dalle notizie che in quegli stessi giorni si
leggevano sui giornali (di carta oppure online, non fa differenza, che lo
sappiano i nativi digitali): le minacce contro la femminista Caroline
Criado-Perez (vedi Corriere on line
del 30 luglio scorso), gli insulti verso le vittime dell’incidente del bus in
Irpinia (vedi Giornalettismo.com del
31 luglio), i ripetuti insulti e le ripetute minacce contro il Ministro Kyenge...
Nel primo caso, l’uso di parole offensive via twitter ha persino innescato una
reazione giudiziaria: la donna insultata ha sporto denuncia, cui è seguito un
arresto. Nell’ultimo caso siamo arrivati, proprio ieri, all’istigazione
all’omicidio (vedi Il Messaggero online
del 12 agosto). Insomma, la questione resta aperta, indipendentemente dalle mie
impressioni: il mondo virtuale di Internet (soprattutto quello dei social
network) è un far west, come questo foriero di aspettative di libertà, ma anche
violento e pericoloso, tanto da sollevare richieste di limitazione e di
censura. Ma chi, come me, ritiene che la libertà non debba essere mai compressa
d’autorità, semmai delimitata e contenuta dal proprio senso morale, non può
accettare la censura, piuttosto dovrebbe desiderare che gli individui diventino
civili attraverso la cultura, il rispetto, il dialogo cortese e argomentato.
Il Ministro Cecile Kyenge |
Per questo, dopo l’infausta esperienza con
“Antigiornale”, ho lanciato una piccola campagna di sensibilizzazione su
twitter consistente nell’invito a rispettare poche semplici regole: 1) non
usare mai insulti e minacce nei propri tweet; 2) non nascondersi dietro
pseudonimi, rifiutare l’anonimato; 3) bloccare chi insulta e minaccia al fine
di isolarlo. Una sorta di etica minima delle relazioni virtuali, sulla quale,
però, è necessario impegnarsi con fermezza. Non a caso all’iniziativa ho dato
il nome di #Twittercivile #Impegnamoci. L’obiettivo è produrre una reazione
culturale da parte degli utenti, affinché rifiutino l’imbarbarimento e siano
consapevoli della responsabilità che si assumono quando scrivono un tweet che,
in pochissimo tempo, potrebbe fare il giro del mondo. Ho quindi chiesto di
ritwittare il messaggio, in segno di adesione e per contribuire alla diffusione
dell’idea. Ma a tutt’oggi pochissimi hanno risposto all’appello, risultato che
posso interpretare solo come frutto del disinteresse o, peggio,
dell’indifferenza: in entrambi i casi la reputazione di twitter non ne esce
bene.
Come dicevo, la questione è ancora aperta,
perciò vi tornerò con il prossimo post: apprezzo twitter e sono ancora
ottimista nei confronti della sua evoluzione, ma non posso nascondermi né i
suoi difetti, o meglio i difetti di chi lo usa incivilmente, né i rischi che si
celano in esso. Dal momento che non poche persone, anche in Italia, sostengono
che con twitter (come con facebook, in generale con Internet) sarebbe possibile
governare il mondo, sarà bene riflettere con attenzione su questa ipotesi: è
davvero possibile? E anche se lo fosse, è davvero auspicabile? Intanto, in
attesa del prossimo post, ritwittate #Twittercivile.
P.s.: Ho realizzato un restyling leggerissimo al blog. Potrebbero esserci problemi di visualizzazione delle immagini, nei prossimi giorni provvederò a risolvere i problemi.
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