2a PARTE: Giovanilismo e
contestazione: il Sessantotto in Italia
Buongiorno a tutti! Sono stato a respirare l'aria delle Dolomiti e mi sono preso una vacanza da internet, perciò non ho aggiornato il blog per qualche giorno. Ora sono tornato e riprendo dal punto in cui ero giunto la settimana scorsa. Stavo parlando della nascita del giovanilismo all'inizio del Novecento e di come questa ideologia si sia modificata durante il fascismo e poi nel corso degli anni Cinquanta.
Le
cose cambiano ancora negli anni Sessanta con la contestazione giovanile. Un
preannuncio di questa ci fu nel 1966 presso l’Istituto universitario di scienze
sociali di Trento, dove gli studenti avevano dato vita a due occupazioni. Poi,
tra il novembre 1967 e il gennaio 1968, prendono il via le agitazioni alla
Cattolica di Milano; nei mesi seguenti il movimento si diffuse in altri atenei.
Inizialmente esso rimase confinato nelle università, tanto che le richieste
divennero via via sempre più corporative, cioè strettamente connesse alle esigenze
dello studente: si richiese l’esame di gruppo, l’autogiudizio, il voto
“politico” e così via.
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Manifestazione a Genova |
Proprio a causa di questa iniziale impronta corporativa,
il movimento dalle università si estese alle scuole medie superiori (al Liceo
D’Azeglio di Torino gli studenti chiesero il voto collettivo dato dall’intera
classe oltre che dall’insegnante; gli argomenti di interrogazione scelti dagli
studenti; la piena libertà di assemblea nell’istituto). La radicalità
corporativa ovviamente portò alla rottura dell’iniziale collaborazione con i
docenti: molti di questi giudicavano i programmi scolastici inadeguati alle
trasformazioni in atto, ma dovettero constatare che con gli argomenti
radicalmente corporativi degli studenti non era possibile alcun tipo di
dialogo.
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Assemblea di studenti universitari a Milano, 1968 |
Le
chiusure corporative degli studenti portarono il movimento studentesco a
privilegiare i momenti dell’occupazione e dell’assemblea per due ragioni: da un
lato perché tali strumenti davano alla condizione dello studente, per sua
natura transitoria, l’apparenza di una comunità stabile, di un corpo coeso e
compatto che doveva proporsi addirittura come modello di trasformazione per
tutta la società; dall’altro lato perché l’assemblea era il luogo per
eccellenza dell’espressione e dell’affermazione personale, di quella
affermazione che la società sembrava negare. L’assemblearismo divenne così il
luogo dello sfoggio delle retoriche e dei discorsi ideologici fini a se stessi;
dall’assemblearismo all’affermazione del leaderismo il passo fu breve, perciò
le assemblee si riempirono di piccoli capi che davano la garanzia di un’azione
più efficace e più unitaria; infine il linguaggio retorico si orientò verso le
teorie marxiste che apparivano allora quelle più radicalmente contestatrici
dell’ordine costituito.
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Mario Capanna, uno dei primi leader del movimento studentesco, parla durante una manifestazione a Milano |
I documenti redatti nel corso delle assemblea parlavano
di università che si appropriavano del plusvalore degli studenti, di
mercificazione dello studente, di docenti che equivalevano ai mezzi di
produzione e di studenti che equivalevano alle merci. Un linguaggio che venne
subito salutato con entusiasmo dagli esponenti della sinistra e che consentì al
movimento di uscire dal corporativismo delle rivendicazioni studentesche e di
conquistare la ribalta del dibattito politico nazionale. A questo punto il
movimento del Sessantotto divenne un fenomeno di contestazione contro l’intera
società e in esso si mescolarono motivazioni economiche, ideali e sociali, producendo
un vero e proprio melting pot
ideologico e politico.
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Manifestazione a Milano nei primi mesi del 1968: i temi ideologici sono già evidenti |
La
ragione per cui la contestazione uscì dalle aule universitarie e scolastiche è nel
fatto che essa era prodotta dalla contraddizione tra i valori di affermazione e
di prestigio, pubblicizzati dalla società del boom economico, e le reali
possibilità offerte da quella società.
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Primavera del 1968: manifestazione di studenti a Genova |
Questa
contraddizione si era generata in tutto il sistema formativo italiano dopo le
riforme scolastiche del centro sinistra. Esse stavano facendo crescere
culturalmente la società italiana: l’introduzione dell’obbligo scolastico fino
a 14 anni (1962) portò ad un notevole incremento degli alunni nella scuola
media; fra 1961 e 1966 la progressiva liberalizzazione degli accessi
universitari fece crescere del 60% il numero degli immatricolati. La
massificazione della scuola, però, produsse presto non pochi problemi.
Innanzitutto problemi di spazio, poiché le scuole e soprattutto gli atenei
italiani avevano strutture più consone ad un sistema scolastico elitario.
Inoltre, dalla fine del decennio, gli studenti cominciarono a rendersi conto
che frequentare la scuola e l’università non significava necessariamente avere
la strada aperta verso una professione di prestigio ed economicamente
vantaggiosa, malgrado lo sviluppo economico della società sembrasse promettere
proprio questo. Gli anni del boom economico, infatti, stavano terminando e si
cominciavano ad intravedere difficoltà di inserimento nel lavoro da parte dei
giovani diplomati e laureati; a sua volta la ristrettezza degli sbocchi
professionali rendeva più sgradite la selezione e le difficoltà incontrate per
laurearsi. Il salto di competenze, di capacità personale, di sacrificio, di
conoscenze che lo studio universitario richiedeva sembrava essere molto
difficile da compiere per coloro che provenivano da condizioni sociali ed
economiche disagiate.
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Gli scontri di Valle Giulia, a Roma, nel marzo 1968 |
Perciò
fu più la scoperta di non poter raggiungere il benessere che il rifiuto del
benessere a provocare la contestazione studentesca e giovanile; e tale
difficoltà a raggiungere il benessere cozzava con le plateali promesse fatte
dalla società dei consumi che sembrava consentire a tutti la ricchezza.
Insomma, non venne respinto il benessere, ma la falsa promessa che ne faceva la
società, cosa che appariva tanto più contraddittoria quanto più si sosteneva, e
i governi di centro sinistra proprio questo sostenevano, che il talento apriva
la strada al successo. Il Sessantotto sembra essersi originato da questo
divario tra aspettative e promesse da un lato, reali possibilità di soddisfarle
dall’altro. Da questa contraddizione nacque il desiderio di una società alternativa
in cui le capacità creative di ognuno sarebbero state soddisfatte senza la dura
competizione richiesta dalla società borghese: di qui la richiesta di ridurre
le difficoltà dei percorsi scolastici; di qui il desiderio di una società
collettivista, il cui sogno alimentò la contestazione contro la cultura
dominante, in cui alla competizione tra meritevoli si sostituissero
l’uguaglianza e il diritto di chiunque ad affermare il proprio modo d’essere. (2 – continua)
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Mario Capanna durante una manifestazione del movimento studentesco |
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Valle Giulia, 2 marzo 1968 |
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